Due effetti della riforma del mercato del lavoro di Matteo Renzi, tanto piaciuta a Maurizio Sacconi. Uno non voluto, sicuramente, ma prevedibile – il basso dato dei contratti a tempo indeterminato. Uno forse ricercato, e non è una buona notizia – l’applicazione delle norme ai dipendenti pubblici.
Dunque. Il primo effetto del jobs act ce lo raccontano i dati trimestrali dell’Istat. Per fare un bilancio definitivo bisognerà aspettare ancora qualche mese, ma si può intanto registrare un primo campanello d’allarme sui reali effetti della riforma del lavoro tanto cara al premier e dei contributi per le nuove assunzioni. Dei contributi soprattutto, perché il saldo tra i contratti a tempo indeterminato che si contavano a dicembre 2014 e quelli registrati a ottobre 2015 è di appena – e neanche – duemila contratti in più.
Erano 14 milioni e 525mila nel 2014, sono 14 milioni e 527mila oggi. In più, si potrà notare, quelli del 2014 erano veri contratti a tempo indeterminato, categoria in cui oggi facciamo ricadere anche i contratti a tutele crescenti, il nuovo contratto a “tempo indeterminato” del jobs act, appunto, contratti che prevedono una monetizzazione dei licenziamenti anche quando effettuati senza giusta causa e il reintegro solo in caso di conclamata discriminazione. Ma siccome i giuslavoristi vicini al governo dicono che bisogna aspettare, noi segnaliamo (lo facciamo anche nel numero in edicola sabato prossimo) e attendiamo.
Il secondo effetto, è invece, è più strutturale. Il governo aveva sempre assicurato che il centro della riforma, l’abolizione dell’articolo 18, non sarebbe valsa per i dipendenti statali. Lo aveva assicurato Poletti, lo aveva assicurato lo stesso Renzi. Una recente sentenza della corte costituzionale (la 24157) sull’applicazione della riforma Fornero, però, avrebbe chiarito che così non è. L’articolo 18 riformato dalla Fornero vale per tutti. E così potrebbe accadere per la formulazione – più radicale nel taglio delle tutele – voluta da Renzi. Avrebbe così ragione Scelta Civica che rivendicava come la riforma sarebbe valsa per tutti. E nel caso del lavoratore – a cui la corte costituzionale ha dato ragione – non ci sarebbe stato alcun reintegro. Marianna Madia dice che così non sarà, e si immagina una pezza messa inserita nel decreto sulla pubblica amministrazione. Anche in questo caso, attendiamo.