Questa intervista nasce da una camminata per Parma. Incrocio una giovane ragazza con un cartellone scritto grande, a pennarello, in cui si dice che l’Islam non prevede la guerra e non la giustifica. Sorride, mentre i passanti la guardano con circospezione e di fianco altre due offrono caramelle. La fotografo e quella foto sui social raggiunge milioni di visualizzazioni in pochi giorni. E allora mi sono detto che avrei dovuto parlare con l’organizzatore di quell’evento, con l’imam di Parma Kamel Layachi. E questa è la nostra chiacchierata.
Quanto è difficile scrostare questa indifferenza, se non odio?
In parte la responsabilità è anche mia, anche nostra, delle comunità musulmane che forse sul piano mediatico non si impegnano a comunicare quel che sono. Vorrei partire proprio da questo: non bisogna lanciare la palla nel campo degli altri prima di fare un po’ di autocritica. Anche noi siamo responsabili se la nostra immagine è distorta agli occhi degli altri. Questa è la prima constatazione che faccio. Serve un maggiore impegno dal punto di vista della comunicazione e un maggior impegno dal punto di vista della visibilità. Ovviamente, nel fare le cose, le dobbiamo fare insieme agli altri, senza protagonismo. Noi vogliamo dare un segnale alla nostra comunità italiana: noi siamo parte di questa società, non siamo un mondo a parte. Questo è molto importante oggi e riguarda soprattutto i giovani e le nuove generazioni.
Niente vittimismo, quindi?
Bisogna evitare di cadere nel vittimismo, di dire “loro sono i cattivi, loro sono il pregiudizio”. Noi dobbiamo superare questo discorso.
Ma ci sono anche altre responsabilità…
Certamente. C’è quella di una certa politica che fa della denigrazione della comunità musulmana o della strumentalizzazione delle questioni di attualità politica internazionale, un cavallo di Troia per colpire un’intera comunità, in maniera strumentale e semplicistica. Io ho un grande rispetto per il giornalismo italiano e per i media, però anche all’interno del mondo dell’informazione c’è una parte che pensa solo a vendere la notizia e così cade nella disinformazione. Credo che tutto questo potrebbe spiegarci anche il motivo di questo clima. Le comunità musulmane devono sentire sulle proprie spalle la responsabilità di farsi conoscere. Iniziative come quelle di Parma sono da replicare in tante città d’Italia. In tutte le città italiane bisogna prendere l’iniziativa, senza aspettare che qualcuno arrivi a bussare chiedendoci i nostri progetti, i nostri obiettivi, chi siamo… Dobbiamo andare noi verso i cittadini, le istituzioni, i media e la classe politica per parlare e costruire percorsi di fiducia e stima reciproca. (…)
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