Da Muhammad Alì al Dipartimento di Stato, passando per 400mila cittiadini britannici che hanno firmato una petizione al Parlamento e Zuckerberg, tutti contro le dichiarazioni islamofobiche del miliardario candidato alla presidenza Usa. Che risponde beffardo: non si fa l'America grande con il politically correct

Donald Trump fa parlare di sé. E quello sembra essere l’importante, a prescindere dalle castronerie che dice e dagli odii che si attira: l’ultimo sondaggio sulle primarie repubblicane dice che il miliardario ha ripreso a correre: 35 per cento contro il 16 di Ted Cruz, che sta scalando la classifica ed ha superato il chirurgo afroamericano e super conservatore Ben Carson. Nel complesso è un disastro per il partito dell’elefantino, che dopo anni di opposizione dura e pura contro Obama, si trova a raccogliere i frutti del populismo che ha cavalcato. O almeno questo direbbe il buon senso applicato alle presidenziali. Manca comunque molto tempo, sia alla conclusione del voto per le primarie che al voto vero e tutto potrebbe succedere. Ad esempio che gli effetti degli attentati a Parigi e a San Bernardino scompaiano o che altre stragi determinino un aumento dell’allarme. Trump ha commentato il sondaggio con un tweet: «Grazie, essere politically correct non renderà di nuovo l’America grande»

Il miliardario candidato che ha giurato di non avere nessuna intenzione di ritirarsi dalla corsa, sente che le sue frasi ad effetto sui musulmani stanno funzionando sulla base repubblicana e ribadisce i concetti espressi nei giorni scorsi. Del resto, un sondaggio Bloomberg rileva che il 65% degli elettori repubblicani è d’accordo con l’idea di tenere i musulmani fuori dai confini Usa. In generale, gli attacchi degli avversari sembrano tornare indietro come boomerang, salvo quando non si tratti di attacchi in stile Trump, ovvero spot Tv che prendono in giro il miliardario e non che spieghino che uno così non dovrebbe fare il presidente. L’elettorato repubblicano, a forza di sentire che Washington è il nemico, credo più a un buffone esagerato che non a qualcuno che vede come espressione dell’establishment politico.

sondaggio trump

La reazione alle uscite di Trump preoccupa per ragioni diverse, che riguardano la comunità musulmana d’America (e non solo) e il pericolo che un clima di ostilità diffusa accentui la voglia di radicalizzazione in alcuni. O spinga qualche gruppo estrema destra a prendere di mira i musulmani o chi gli somiglia, come avvenne con la strage del tempio Sikh di Oak Creek, dove vennero uccise sei persone.

Per questo i media, l’amministrazione Obama, le comunità islamiche e anche molti in Gran Bretagna, stanno cercando di reagire e rispondere con informazione, atti politici, petizioni. La più famosa è quella alla Camera di Comuni, che chiede di negare l’ingresso a Donald Trump per aver diffuso sentimenti razzisti. Mentre scriviamo ha raccolto più di 400mila firme e, per questo, dovrà necessariamente essere presa in considerazione dal Parlamento e dal governo (servono 100mila firme perché una petizione ottenga una risposta ufficiale). A proposito di Gran Bretagna, la Scozia, dove Trump ha enormi interessi legati ai campi da golf, gli ha tolto il titolo onorario di Business ambassador e l’università di Aberdeen gli ha ritirato la laurea onoraria. Trump ha risposto con un tweet sulla politica britannica: «Hanno un problema con i musulmani e lo negano» ha più o meno scritto.

Altra reazione è quella di David Zuckerberg, che ha postato un messaggio sulla sua bacheca nel quale scrive: “Posso solo immaginare la paura dei musulmani di essere perseguitati per azioni intraprese da altri. Come ebreo ho imparato dia miei genitori ad oppormi a qualsiasi attacco contro qualsiasi comunità, anche se non è la tua». Zuckerberg ci crede, ma sa anche di avere un mercato enorme da difendere. A mettere a tacere Trump ci pensa anche Muhammad Alì, forse l’atleta americano più popolare di sempre, che con un commento molto pacato dice: «Sono musulmani e credo che i politici debbano spiegare la vera natura dell’Islam».

Dodicimila sono le firme sotto un appello di leader religiosi americani di varia provenienza che si rivolge «ai nostri fratelli e sorelle musulmani». Il Dipartimento di Stato, ha rilanciato sui social network una serie di video prodotti nel 2014 che presentano la comunità islamica americana per quello che è: un insieme di mille cose diverse tra loro.

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