Se è vero che il ministero della Salute tiene molto al concetto di appropriatezza delle cure, al punto da varare un decreto legge che prevede tagli per 208 prestazioni mediche perché non fa la stessa cosa con l’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica? La procedura con pillola abortiva Ru486 potrebbe essere seguita in ambulatori o in Day hospital, come accade ormai a livello internazionale.
E le risorse risparmiate potrebbero servire per campagne sulla contraccezione, e quindi per la prevenzione dell’aborto stesso. A sollevare questo problema è una lettera aperta al ministro della Salute Beatrice Lorenzin scritta dai medici di Amica (Associazione medici italiani contraccezione e aborto). Sottoscritta da numerose personalità della scienza e della politica (da Emma Bonino a Ivan Cavicchi a Maura Cossutta, da Filomena Gallo a molti parlamentari di Sinistra italiana) e da associazioni, la lettera ricorda che «dopo il 2009 nel nostro Paese è possibile interrompere la gravidanza indesiderata con il metodo farmacologico entro le settima settimana».
E visto che la legge 194 raccomanda, all’articolo 15, «la promozione delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione di gravidanza», il metodo farmacologico, si legge nella lettera, «va favorito in alternativa alla procedura chirurgica, poiché sicuro e considerato tra i metodi di scelta per le Ivg nele prime settimane di gravidanza da tutte le più importanti linee guida internazionali». Nel mondo le pillole abortive vengono dispensate in regime ambulatoriale, in strutture simili ai nostri consultori o addirittura dai medici di medicina generale.
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