L’impero dei Big Data
Il cambiamento corre veloce e passa attraverso la rivoluzione dei dati. Non si tratta solo di quelli che vengono rilevati tramite i social, ma anche di quelli che vengono raccolti nella nostra vita offline - tramite sensori, il famigerato Internet of things, internet degli oggetti, programmi fedeltà, eccetera - e che poi vengono processati e incrociati con quelli già in possesso dei grandi colossi del web come Google o Facebook. L’obiettivo ovviamente è di prevedere con sempre maggior accuratezza i nostri consumi e le nostre azioni. L’utilità è di fornirci un servizio sempre più su misura. Tutto questo è possibile grazie al fatto che, anno dopo anno, le tecnologie di raccolta e analisi dati sono sempre meno costose e che ci portiamo dietro uno smartphone al quale, volenti o no, confidiamo tutto. Il resto lo fanno appunto i social, colmi fino all’inverosimile dei nostri like, delle nostre foto, dei nostri tag lasciati in un posto piuttosto che in un altro. È attraverso i profili personali infatti che restituiamo uno schema coerente e completo di noi alla luce del quale leggere i dati raccolti. Insomma, dimmi chi sei su Facebook, ma anche su Amazon, su Instagram o su Google, e ti dirò quello che farai. La fantascienza ha immaginato l’avvento dell’impero dei big data in miriadi di libri, film e fiction dando vita alle distopie più svariate. Si va dal Grande Fratello di George Orwell in 1984, alla Precrimine in Minority Report di Philip K. Dick. Ma i big data possono essere utilizzati anche in modo positivo, senza passare obbligatoriamente dal “lato oscuro della forza”. Questo almeno è l’esperimento che ha in campo la fondazione di Melinda e Bill Gates. «Usiamo siti, che vivono di autentiche miniere di dati, per migliorare, facilitare e velocizzare la nostra vita. Lo sviluppo globale però non trae tutto il vantaggio possibile da una simile montagna di informazioni» scrive Melinda in un recente editoriale sul magazine Wired. Secondo la signora Gates, infatti, questi dati vanno utilizzati per organizzare gli obiettivi di Stati e popolazioni (soprattutto in via di sviluppo), basandoli non più su stime e proiezioni realizzate a partire da informazioni vecchie di almeno due anni, ma su numeri più precisi e disponibili in tempi sempre più rapidi. Quest’anno potrebbe segnare una svolta proprio in questo senso. I Gates infatti hanno già dato vita a un sistema di raccolta dati via smartphone in una decina di Paesi dell’Africa e dell’Asia - nel Terzo mondo la maggior parte del traffico web è da mobile - per ottenere informazioni sullo stile di vita e le effettive esigenze degli abitanti. Il risultato è la possibilità di intervenire in modo mirato, efficiente e rapido nella risoluzione di problemi che vanno dalla corretta educazione sessuale all’emancipazione femminile, passando per l’istruzione e le pratiche agricole. I dati dunque ci consegneranno il potere di incidere maggiormente sui vari processi economici e sociali. Ma ogni potere implica grandi responsabilità e i dati rimangono materiali estremamente sensibili. Il 2016 sarà, quindi, anche l’anno in cui associare necessariamente all’evoluzione tecnologica la diffusione di una “ecologia dei dati”. La consapevolezza di cosa comporta cedere informazioni personali e la diffusione di una cultura che, per certi versi al pari di quella ambientale, tuteli la società e le democrazie in cui viviamo. [...]Il futuro è virtuale
Nel 2016 visori e software per la virtual reality promettono di lasciarci a bocca aperta. Un modo piuttosto semplice con il quale questa tecnologia entrerà nei salotti di milioni di persone è la nuova console progettata da Sony, o meglio l’estensione Vr per la Ps4, la Playstation Vr appunto, che uscirà entro la prima metà dell’anno. Secondo il sito americano Polygon, il visore dell’azienda giapponese si collegherà alla consolle tramite un piccolo accessorio, una scatola non più grande di una vecchia Wii, che, fra le varie cose, permetterà agli altri giocatori di osservare sul televisore ciò che sta vedendo chi indossa il visore. Se dovessimo quindi ritrovare un parallelismo letterario, la Vr e la nuova console Sony hanno le carte in regola per diventare la “quarta parete” con cui si intrattiene la moglie del protagonista di Fahrenheit 451. [...]Con lo smartwatch al polso
“Potresti dirmi che ore sono?”. Se avete o state per acquistare uno smartwatch, questa è una delle domande che non vi sentirete rivolgere quest’anno. Perché i tanto acclamati smartwatch saranno un flop? No. Piuttosto il contrario: perché saranno l’oggetto più desiderato del 2016 e, soprattutto, avranno talmente tante funzionalità che l’ultima in ordine di rilevanza sarà proprio quella di dirci che ore sono. Dopo la timida accoglienza riscontrata nel 2015 - ma d’altronde anche l’iPad inizialmente fu accolto con freddezza - modelli sempre più evoluti permetteranno di trasformare l’orologio da polso in un assistente tutto fare o quasi. Sul mercato a inseguire Apple, oltre all’onnipresente Google, ci sono Samsung, Motorola, Asus e Huawei. Messaggi, mail, notifiche Facebook, appuntamenti: tutto sarà perfettamente sincronizzato al vostro polso. C’è chi la vede come una prospettiva allettante e chi come un modo per ammanettarci ancora più stretti al lavoro, agli impegni e a quel “demone della reperibilità” di cui già vi abbiamo parlato sulle pagine di Left. Sta di fatto che questa nuova tecnologia ci dà una possibilità senza precedenti di monitorare alcuni aspetti della nostra vita. Si va dal battito cardiaco che ci dice se stiamo facendo sufficiente attività fisica - o che i romanticoni possono inviare con un tocco alla persona amata o cara - all’analisi del sonno per sincronizzare al meglio i nostri ritmi giornalieri e abbattere lo stress. Ecco, se tutto questo si trasformerà in un’agevolazione, o in un mezzo per aumentare ulteriormente la frenesia quotidiana lo potremmo scoprire solo nel corso dell’anno. Nel frattempo fate pure i vostri pronostici su come andranno le cose. Al massimo per il 2017 vi proporremo come innovativo strumento tecnologico del futuro un aggeggio che crea un campo gravitazionale all’interno del quale tutto quello che ci rende connessi non funziona. Ma anche questa è una storia che qualcuno - Dave Eggers in The Circle - più o meno ha già immaginato. E allora, forse, per guardare al futuro, tanto vale sedersi sul divano e assaporare un bel libro. [su_divider text="In edicola" style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]L’articolo completo lo trovi sul n. 1 di Left in edicola dal 2 gennaio 2016
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[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"] [social_link type="twitter" url="http://twitter.com/GioGolightly" target="" ][/social_link] @GioGolightlyIl futuro è adesso». Quante volte lo abbiamo sentito ripetere, negli slogan dei pubblicitari come in quelli dei politici, nei talk show e sui giornali? Eppure se esiste un momento in cui ci si può lanciare, senza sentirsi troppo retorici, in profezie sul futuro, è proprio durante i primi giorni dell’anno. Quali saranno dunque le tecnologie che molto probabilmente ci accompagneranno, e ossessioneranno, per tutto questo 2016? Da un lato le piccole grandi rivoluzioni che ci prepariamo ad affrontare si sviluppano per lo più attorno all’universo della raccolta e della catalogazione dei dati personali – via internet, ma anche tramite app e sensori che registrano le nostre abitudini. Dall’altro, una delle frontiere che varcheremo con decisione sarà quella della realtà virtuale: i visori, dagli occhiali di cartone di Google, i Cardboard, a quelli Oculus Rift di proprietà di Mr. Zuckerberg, saranno sicuramente uno dei gadget dell’anno.
Ecco quindi una guida ai temi di cui sentirete parlare fino allo sfinimento e sui quali è bene farsi un’idea, magari andando a ripescarla dai vecchi libri di fantascienza dove qualcuno, il futuro che viviamo oggi, l’aveva già immaginato.
L’impero dei Big Data
Il cambiamento corre veloce e passa attraverso la rivoluzione dei dati. Non si tratta solo di quelli che vengono rilevati tramite i social, ma anche di quelli che vengono raccolti nella nostra vita offline – tramite sensori, il famigerato Internet of things, internet degli oggetti, programmi fedeltà, eccetera – e che poi vengono processati e incrociati con quelli già in possesso dei grandi colossi del web come Google o Facebook. L’obiettivo ovviamente è di prevedere con sempre maggior accuratezza i nostri consumi e le nostre azioni. L’utilità è di fornirci un servizio sempre più su misura.
Tutto questo è possibile grazie al fatto che, anno dopo anno, le tecnologie di raccolta e analisi dati sono sempre meno costose e che ci portiamo dietro uno smartphone al quale, volenti o no, confidiamo tutto. Il resto lo fanno appunto i social, colmi fino all’inverosimile dei nostri like, delle nostre foto, dei nostri tag lasciati in un posto piuttosto che in un altro. È attraverso i profili personali infatti che restituiamo uno schema coerente e completo di noi alla luce del quale leggere i dati raccolti. Insomma, dimmi chi sei su Facebook, ma anche su Amazon, su Instagram o su Google, e ti dirò quello che farai.
La fantascienza ha immaginato l’avvento dell’impero dei big data in miriadi di libri, film e fiction dando vita alle distopie più svariate. Si va dal Grande Fratello di George Orwell in 1984, alla Precrimine in Minority Report di Philip K. Dick. Ma i big data possono essere utilizzati anche in modo positivo, senza passare obbligatoriamente dal “lato oscuro della forza”. Questo almeno è l’esperimento che ha in campo la fondazione di Melinda e Bill Gates. «Usiamo siti, che vivono di autentiche miniere di dati, per migliorare, facilitare e velocizzare la nostra vita. Lo sviluppo globale però non trae tutto il vantaggio possibile da una simile montagna di informazioni» scrive Melinda in un recente editoriale sul magazine Wired. Secondo la signora Gates, infatti, questi dati vanno utilizzati per organizzare gli obiettivi di Stati e popolazioni (soprattutto in via di sviluppo), basandoli non più su stime e proiezioni realizzate a partire da informazioni vecchie di almeno due anni, ma su numeri più precisi e disponibili in tempi sempre più rapidi. Quest’anno potrebbe segnare una svolta proprio in questo senso. I Gates infatti hanno già dato vita a un sistema di raccolta dati via smartphone in una decina di Paesi dell’Africa e dell’Asia – nel Terzo mondo la maggior parte del traffico web è da mobile – per ottenere informazioni sullo stile di vita e le effettive esigenze degli abitanti. Il risultato è la possibilità di intervenire in modo mirato, efficiente e rapido nella risoluzione di problemi che vanno dalla corretta educazione sessuale all’emancipazione femminile, passando per l’istruzione e le pratiche agricole. I dati dunque ci consegneranno il potere di incidere maggiormente sui vari processi economici e sociali. Ma ogni potere implica grandi responsabilità e i dati rimangono materiali estremamente sensibili. Il 2016 sarà, quindi, anche l’anno in cui associare necessariamente all’evoluzione tecnologica la diffusione di una “ecologia dei dati”. La consapevolezza di cosa comporta cedere informazioni personali e la diffusione di una cultura che, per certi versi al pari di quella ambientale, tuteli la società e le democrazie in cui viviamo. […]
Il futuro è virtuale
Nel 2016 visori e software per la virtual reality promettono di lasciarci a bocca aperta. Un modo piuttosto semplice con il quale questa tecnologia entrerà nei salotti di milioni di persone è la nuova console progettata da Sony, o meglio l’estensione Vr per la Ps4, la Playstation Vr appunto, che uscirà entro la prima metà dell’anno. Secondo il sito americano Polygon, il visore dell’azienda giapponese si collegherà alla consolle tramite un piccolo accessorio, una scatola non più grande di una vecchia Wii, che, fra le varie cose, permetterà agli altri giocatori di osservare sul televisore ciò che sta vedendo chi indossa il visore. Se dovessimo quindi ritrovare un parallelismo letterario, la Vr e la nuova console Sony hanno le carte in regola per diventare la “quarta parete” con cui si intrattiene la moglie del protagonista di Fahrenheit 451. […]
Con lo smartwatch al polso
“Potresti dirmi che ore sono?”. Se avete o state per acquistare uno smartwatch, questa è una delle domande che non vi sentirete rivolgere quest’anno. Perché i tanto acclamati smartwatch saranno un flop? No. Piuttosto il contrario: perché saranno l’oggetto più desiderato del 2016 e, soprattutto, avranno talmente tante funzionalità che l’ultima in ordine di rilevanza sarà proprio quella di dirci che ore sono. Dopo la timida accoglienza riscontrata nel 2015 – ma d’altronde anche l’iPad inizialmente fu accolto con freddezza – modelli sempre più evoluti permetteranno di trasformare l’orologio da polso in un assistente tutto fare o quasi. Sul mercato a inseguire Apple, oltre all’onnipresente Google, ci sono Samsung, Motorola, Asus e Huawei. Messaggi, mail, notifiche Facebook, appuntamenti: tutto sarà perfettamente sincronizzato al vostro polso. C’è chi la vede come una prospettiva allettante e chi come un modo per ammanettarci ancora più stretti al lavoro, agli impegni e a quel “demone della reperibilità” di cui già vi abbiamo parlato sulle pagine di Left. Sta di fatto che questa nuova tecnologia ci dà una possibilità senza precedenti di monitorare alcuni aspetti della nostra vita. Si va dal battito cardiaco che ci dice se stiamo facendo sufficiente attività fisica – o che i romanticoni possono inviare con un tocco alla persona amata o cara – all’analisi del sonno per sincronizzare al meglio i nostri ritmi giornalieri e abbattere lo stress. Ecco, se tutto questo si trasformerà in un’agevolazione, o in un mezzo per aumentare ulteriormente la frenesia quotidiana lo potremmo scoprire solo nel corso dell’anno. Nel frattempo fate pure i vostri pronostici su come andranno le cose. Al massimo per il 2017 vi proporremo come innovativo strumento tecnologico del futuro un aggeggio che crea un campo gravitazionale all’interno del quale tutto quello che ci rende connessi non funziona. Ma anche questa è una storia che qualcuno – Dave Eggers in The Circle – più o meno ha già immaginato. E allora, forse, per guardare al futuro, tanto vale sedersi sul divano e assaporare un bel libro.
L’articolo completo lo trovi sul n. 1 di Left in edicola dal 2 gennaio 2016
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