La capacità di immaginare il futuro è innervata nel presente, come un punto di riferimento senza il quale non ci è possibile fare scelte. L’utopia è una creazione esemplare di questa capacità. Un luogo che non c’è, del quale non si può fare a meno. Non l’utopismo, ma l’utopia. La forma più radicale di immaginazione politica che trascende con l’occhio della mente, e la spinta delle emozioni, il “qui” e “ora” della nostra vita quotidiana. Collocata a tutti gli effetti oltre lo spazio e il tempo dell’esperienza sensibile, l’utopia ridescrive le relazioni tra le persone e con la natura secondo criteri di armonia e cooperazione, grazie ai quali ciascuno può vivere seguendo la propria vocazione. Come si apprende leggendo la Repubblica di Platone, la matrice di tutte le utopie, l’ordine sociale giusto è quello che consente a ciascuno di vivere secondo le proprie peculiari disposizioni: un poeta che non sappia di esserlo perché l’educazione non lo ha aiutato a scoprire la propria vocazione, sarà condannato a vivere in disarmonia con se stesso e con gli altri, come un anima in un corpo straniero, e come straniero in una società verso la quale prova ostilità. Il risentimento è figlio dell’ingiustizia. Al contrario, alla base dello star bene con gli altri vi è la coincidenza di noi con noi stessi, il poter essere quel che sentiamo di voler essere.
Ad un simile paragima è modellata anche l’Utopia di Thomas More, la prima opera che porta questo titolo e di cui si celebra il cinquecentesimo anniversario nel 2016. Un’opera non semplice, e delle intenzioni del cui autore gli studiosi ancora discutono. Certamente, si trattò di un progetto dettato dalle condizioni sociali dell’Inghilterra del tempo di More, afflitta da intolleranza religiosa (alle soglie della Riforma protestante) ma prima ancora dalla miseria delle classi povere e dall’opulenza di un’aristocrazia priva di ogni abilità produttrice, abituata al privilegio di rapina. Utopia non disegna un sogno d’evasione nella terra dell’abbondanza, ma una società in armonia con i principi moderni, dove il lavoro è onorato anche se nessuno è costretto come a un giogo alla stessa mansione per tutta la vita; dove si onora un tempo lavorativo di sei ore giornaliere affinché ognuno abbia il tempo dello svago e possa coltivare rapporti affettivi e sociali, l’arte e la scienza. In Utopia, la legge è uguale per tutti; la giustizia segue un dosaggio di oneri e di onori distribuito secondo il servizio reso alla società, non l’appartenenza a un ceto o una classe; la vita pubblica non si regge sulla retorica che mostra una realtà inesistente; e infine, il popolo non è una platea addomesticata da retori. Nella città di Utopia si promuove la cultura, la letteratura e l’arte; sono abolite le sofisticherie teologiche e metafisiche, si educano i giovani secondo i principi del metodo sperimentale, il più adatto a un popolo che ha un governo democratico. In questo ordine politico, il potere ultimo delle decisioni spetta ai cittadini, i quali delegano l’amministrazione a magistrati, severamente controllati nel loro ufficio e duramente puniti per ogni violazione della legge: amicizie e parentele sono bandite da ogni relazione pubblica.
L’utopia non è utopismo, né evasione dal presente. è un progetto di società giusta, ispirato a principi che tutti comprendono perché ragionevoli e razionali
L’utopia, come si vede, non è un luogo di evasione dal presente. è un atto di immaginazione creatrice che denuncia il disordine della società reale, e mostra figurativamente i principi a partire dai quali è possibile correggerlo. L’isola che non c’è descritta da More è un racconto che illustra le norme del ben vivere collettivo e privato secondo un ideale che è scritto nella natura umana, come dover essere che la ragione indica – non un assurdo e non un disegno che sta completamente fuori della nostra portata. L’utopia è la matrice delle costituzioni moderne, delle leggi che i popoli scrivono nella loro fase creatrice, quando emergono da grandi sofferenze e sanno ragionare per grandi visioni, pensando non a quel che conviene loro in quel momento e alla loro generazione, ma a quel che farà dignitoso il Paese, a quel che i cittadini potranno essere. Le regole scritte per un futuro lungo, per l’eternità – fur evig. Regole scritte non da chi vuol vincere, ma da chi vuole che il gioco sia aperto. Leggi che mettono il lavoro a fondamento dell’autonomia politica – a significare che ogni privilegio è abolito, che tutti i cittadini come eguali davanti alla legge e per legge, dotati di un senso di giustizia che solo è adatto ad un’unione solidale di liberi. L’utopia non è utopismo, né evasione dal presente. è un progetto di società giusta, ispirato a principi che tutti comprendono perché ragionevoli e razionali.
Nel 2016 si celebrerà, insieme al cinquecentesimo anniversario dell’Utopia di Moro anche il settantesimo anniversario della nostra Repubblica, la matrice della nostra società.
L’Assemblea eletta che si insediò dopo il 2 giugno 1946, con le città italiane ancora in macerie, segnò il carattere della nostra Costituzione, nata dalla lotta partigiana, guidata da partiti politici, da cittadini, cioè, con diverse idee politiche e capaci di decidere pur restando diversi, di convenire pur dissentendo. […]
L’articolo continua sul n. 1 di Left in edicola dal 2 gennaio 2016