Il 26 settembre il Senato torna sulle unioni civili. E c'è ancora da discutere - nella maggioranza ma anche nello stesso Pd - su una legge che è già il minimo sindacale

A fine gennaio la legge Cirinnà sulle unioni civili passerà al vaglio del Senato. È un voto delicato per le resistenze interne alla maggioranza di governo (Ncd è contrario) e allo stesso Pd. Sono anzi proprio tre senatrici dem ad aver annunciato un emendamento che punta a depotenziare l’aspetto più discusso della legge, l’istituto della stepchild adoption, l’adozione cioè del figlio del partner.

E se dei voti di Ncd si potrebbe anche fare a meno, contando sui voti di 5 stelle e Sel (il Pd stesso dice che si può fare, perché «l’importante è tenere fede all’impegno»), il premier ha detto chiaramente che ci potrà essere libertà di coscienza e il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini ha aggiunto che il testo potrà esser modificato, perché deve «rappresentare un punto d’equilibrio e non la vittoria di una parte contro l’altra».

E se i 5 stelle hanno detto (per bocca del senatore Airola) che non voteranno un testo annacquato (ma a palazzo Madama si dice che non vedono l’ora, in realtà, di sfilarsi, perché anche il loro gruppo non è così compatto sul tema), è così probabile che la legge Cirinnà incasserà il primo sì, ma che verrà ulteriormente ridimensionata.

Scriviamo ulteriormente, perché leggendo quanto scrive su Repubblica Stefano Rodotà, si capisce benissimo come la legge sulle unioni civili sia già un compromesso rispetto a quanto ci permetterebbe, come dice Renzi, di non essere più «fanalino di coda in Europa».

Scrive Stefano Rodotà: «La Corte Europea dei diritti dell’uomo, infatti, non si è limitata a condannare l’Italia per il ritardo nel dare una adeguata disciplina alle coppie dello stesso sesso. Ha ricordato pure che il nostro paese è ormai parte di un sistema giuridico allargato, di cui deve rispettare principi e regole, sì che la stessa scelta del Parlamento, la discrezionalità del legislatore risultato limitate. Si sottolinea che ormai la maggioranza dei paesi del Consiglio d’Europa (24 su 47) riconosce nella loro pienezza quelle unioni. E questo non è un semplice dato statistico, ma una indicazione che rende più stringente il “dovere positivo” dell’Italia di intervenire senza inammissibili restrizioni».

È «il paradigma eterossessuale», spiega Rodotà, che «crea oramai incostituzionalità». Ed ecco perché la legge Cirinnà è solo sufficiente, già senza ulteriori moderazioni: «Di questo si deve tener conto quando si contesta l’ammissibilità dell’accesso delle coppie tra persone dello stesso stesso al matrimonio egualitario, di cui oggi non si vuol nemmeno discutere».

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