Nel 2016 i seguaci del califfo potrebbero dover lasciare Mosul e Raqqa. Ma Arabia Saudita e Turchia mirano al bersaglio grosso, all'Iran e alla Russia, con un escalation allarmante

Assisteremo quest’anno alla disfatta di Daesh, le bandiere nere per terra, i miliziani in fuga, i foreign fighters che riprendono il vecchio passaporto e cercano rifugio in famiglia e nelle patrie che avevano ripudiato? La liberazione di Ramadi autorizza a sognarlo. Ramadi è la capitale della provincia sunnita di Anbar, posta a 90 chilometri dalla capitale sbarra ai seguaci del califfo la via per Baghdad e apre, invece, all’esercito iracheno la strada verso Mosul. Prima di Ramadi i Peshmerga curdi avevano preso il monte di Sinjar, luogo del massacro degli Yazidi, tra le due capitali del sedicente califfato Raqqa e Mosul. Intanto russi ed esercito di Assad bombardavano Aleppo e sbarravano l’accesso al mare, i curdi dopo Kobane si prendevano Tel Abyad al confine turco.

Durante tutto il 2015 il gruppo “Stato islamico” è stato costretto a lasciare parte del territorio su quale si vantava di aver imposto la legge islamica e che affermava di governare. Ha dovuto battere in ritirata e ha reagito cercando in ogni modo di internazionalizzare il conflitto. Come? Con gli attentati. Occhio alle date. L’irruzione nella redazione di Charlie Hebdo nel cuore di Parigi è del 7 gennaio, pochi giorni prima della fuga da Kobane. A fine ottobre una bomba del Daesh ha abbattuto in Sinai un aereo russo, dopo che «nelle 2 settimane precedenti – ha scritto Alberto Negri – Mosca aveva fatto di più sul piano politico e militare (contro Daesh) di quanto l’Occidente non avesse fatto in 4 anni». Infine, l’attentato al Bataclan: 13 novembre, quando ormai l’abbandono di Ramadi appariva nelle cose.

D’accordo, direte, vinciamo laggiù ma paghiamo il prezzo forte a casa nostra! Non è detto che così sia. Molti studiosi del terrorismo – e fra loro il sociologo franco-iraniano Farhad Khosrokhavar – sostengono che «un kamikaze non si radicalizza da solo» e che per questa nuova ondata di terroristi suicidi è particolarmente importante «il viaggio iniziatico in una terra di jihad. Un passaggio che permette al futuro kamikaze di diventare straniero alla sua stessa società d’origine e di acquisire la crudeltà necessaria per passare all’atto, senza sensi di colpa né rimorsi».

cover left n.2 | 9 gennaio 2015

 

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