L’anticiclone è passato, la politica è rientrata dalle vacanze e l’allarme smog ha abbandonato le prime pagine dei giornali. A pochi giorni dall’inizio del nuovo anno, le centraline delle maggiori città italiane che facevano registrare continui “sforamenti” dei limiti di polveri sottili presenti nell’aria sono un ricordo lontano. Sindaci e governo, corsi ai ripari con targhe alterne e chiusure al traffico, hanno prontamente revocato le misure anti-inquinamento con il ritorno delle precipitazioni e il conseguente calo delle concentrazioni del cosiddetto particolato. Ma l’arrivo della pioggia, spiegano gli esperti, ha portato via una serie di misure insufficienti e diverse da Comune a Comune, lasciando sull’asfalto una troppo timida (e non vincolante per i Comuni) strategia nazionale messa in campo dal ministero dell’Ambiente e nessun intervento strutturale.
Milioni di morti premature
Ci sono prove scientifiche del fatto che queste particelle microscopiche contribuiscano alla formazione di placche vascolari, aumentando il rischio di infarto e ictus. E diversi studi epidemiologici confermano che le polveri sottili sono tra le cause di malattie cerebrovascolari, cardiache e polmonari (compreso il cancro ai polmoni), mentre le elevate concentrazioni di ozono sono correlate a patologie delle vie respiratorie come la tosse cronica e la mancanza di respiro. Uno studio dell’Istituto Max Planck per la Chimica, ente tedesco di ricerca pubblica, stima intorno ai 3,3milioni i decessi prematuri (rispetto alle aspettative di vita) che avvengono ogni anno nel mondo in relazione all’inquinamento atmosferico. Quasi tre quarti di questi sono dovuti a ictus e attacchi cardiaci, il restante 27 per cento a malattie respiratorie e cancro al polmone. E, riporta l’indagine, nel 2050 il dato potrebbe salire fino al doppio se i livelli attuali dovessero rimanere immutati. Più catastrofiche le proiezioni dell’Oms, secondo cui ogni anno 4,3 milioni di decessi sono imputabili all’inquinamento dell’aria all’interno delle abitazioni e 3,7 milioni all’inquinamento dell’aria esterna. Pesano senza dubbio industria, trasporti, agricoltura e produzione di energia con fonti fossili. Allo stesso tempo però, i consumi energetici domestici – soprattutto nelle aree dove di usano generatori diesel, piccole stufe e legna per riscaldare e cucinare – incidono altrettanto sull’incremento del tasso di mortalità. I ricercatori del Max Planck hanno calcolato poi che l’agricoltura che fa uso di sostanze chimiche (fertilizzanti, ecc.) e l’allevamento intensivo sono la causa del 20% dei decessi legati all’inquinamento atmosferico, con punte del 40 in Paesi come Ucraina, Russia e Germania. La combustione di carburanti fossili per l’industria, l’energia e i trasporti, insieme alla combustione di biomassa, è all’origine di un altro 33% di morti premature. Il traffico cittadino pesa sul bilancio delle vittime da inquinamento per il 5%.
Incroci pericolosi
Da un’indagine dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ifc-Cnr), in collaborazione con l’Istituto di Biomedicina e Immunologia molecolare di Palermo e le università di Pisa e Verona, emerge che l’insorgenza di alcuni disturbi polmonari è più che raddoppiata negli ultimi 25 anni. Sara Maio dell’Ifc-Cnr di Pisa spiega che gli attacchi d’asma sono passati dal 3,4 al 7,2%, mentre per la rinite allergica si è saliti dal 16,2 al 37,4%; l’espettorato ha superato il 19% rispetto all’8,7% del 1985 e la broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), ostruzione delle vie respiratorie non completamente reversibile, è arrivata al 6,8% contro il 2,1 iniziale. Ma il rischio è alto anche per le donne in gravidanza. Un recente studio sull’esposizione a benzene e Pm10 (228 casi presi in esame nel Nord Italia), condotto tra gli altri da un gruppo di ricercatori dell’Università di Modena e Reggio Emilia, ha registrato anomalie muscoloscheletriche e cromosomiche nel caso di esposizione al Pm10 da traffico veicolare, mentre per il benzene non ha rilevato evidenze di aumento dei rischi di malformazioni congenite. A confermare il peso del traffico veicolare sull’asfissia delle nostre città e sulla nostra salute, è una rilevazione effettuata per dieci anni dalla Nasa in 195 città e diverse aree del Pianeta. Ne è scaturito un atlante dell’inquinamento atmosferico che evidenzia come Usa, Europa, Cina, Sudafrica e Medio Oriente siano le zone con più elevati livelli di biossido di azoto, gas emesso dagli scarichi dei veicoli a scoppio e dall’industria. Rilevare le concentrazioni di questo gas è importante perché a livello del suolo può trasformarsi rapidamente in ozono, uno dei principali inquinanti presenti nello smog urbano.
L’impatto delle politiche
I dati, pubblicati sul Journal of Geophysical Research, sono quelli registrati dagli strumenti a bordo del satellite Aura tra il 2005 e il 2014. Usa ed Europa sono tra i principali responsabili delle emissioni di anidride carbonica, ma sono anche le aree in cui si è osservata la diminuzione più drastica: dal 20% al 50% negli Usa, e del 50% nel Vecchio continente. La Germania è tra le nazioni europee la più inquinata, perché per la sua posizione subisce anche l’influsso delle emissioni nocive dei Paesi confinanti. Per l’Italia la maglia nera dello smog – confermano i dati raccolti dalla Nasa – va alla Pianura Padana, che coniuga traffico veicolare, elevata industrializzazione e un mix di posizione geografica e condizioni meteo che determinano la presenza quasi costante della “nebbia tossica”. «Con i nuovi dati ad alta risoluzione siamo in grado di ingrandire l’immagine fino a vedere i cambiamenti del livello di inquinamento nelle singole città, e anche in alcune fonti, come per esempio le centrali elettriche di grandi dimensioni», spiega Bryan Duncan, scienziato del Nasa Goddard Space Flight Center di Greenbelt (Maryland), che ha guidato la ricerca. «I cambiamenti della qualità dell’aria osservati non sono casuali. Nei dati si vede l’impatto di decisioni governative come le nuove costruzioni o la regolamentazione degli agenti inquinanti». Per gli esperti, il calo in questione è dovuto alle leggi che hanno imposto miglioramenti tecnologici per ridurre l’inquinamento delle auto e degli impianti industriali. Ancora una conferma, semmai ce ne fosse bisogno, che se non cambiano le politiche le nostre città continueranno a respirare “a targhe alterne”. […]
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