Il Museo del Barrio di New York presenta Illusive eye, ripercorrendo che - fino al 21 maggio - un secolo di arte che usa giochi di forme astratte e linee per creare illusioni ottiche o cinetiche. Questa mostra vertiginosa presenta opere di maestri della Bauhaus come Joseph Albers (1888-1976) insieme ad artisti e performers che della linea hanno fatto un'ossessione, arrivando agli estremi della Op art e alla grafica psichedelica. Ed è interessante notare come in autori come Albers (a cui la Fondazione Stelline di Milano ha dedicato una ampia retrospettiva)  il razionalismo si sposi perfettamente con la religione. Cattolico e fervente sostenitore dello spirituale nell'arte, il tedesco Albers usava il colore nelle sue composizioni geometriche per renderle ancora più astratte, irreali, "divine", così come uutilizzava il contrasto del  bianco e nero per creare giochi intellettuali di forme che danno l'illusione del movimento. Dagli anni  Sessanta in  poi l'arte concettuale si fece  via via sempre più fredda,  cercando forme enigmatiche, metafore visivo- verbali via via sempre più cervellotiche. Così, mentre con il  boom economico l'Occidente diventava  la società dell'immagine accendendo tv in ogni casa eavvolgendo le città di pubblicità, "paradossalmente" la ricerca sull'immagine in arte entrava nel loop di una geometrizzazione via via sempre più disseccata, svuotata di contenuto. Prevale il gusto del  gioco intellettuale, al limite della sciarada. Fortissima questa tendenza appare in Argentina tra letteratura e pittura. Basta pensare alla prosa labirintica di Borges che trova un analogo estremo nella pittura di Julio Le Parc, Martha Boto, Ana Sacerdote, Eduardo Mac Entyre, García Rossi e altri, come racconta questa mostra newyorkese curata da Jorge Daniel Veneciano, che rintraccia nessi fra la scena artistica argentina  e quella venezuelana e cilena.  Indicandone le radici europee nel Bauhaus e negli artisti della diaspora, che fuggirono dalla Germania nazista per cercare rifugio in America.      @simonamaggiorel immagine in evidenza: Spazio Ad Attivazione Cinetica 6B, APOLLONIO Marina, 1966‐2015, Vinyl (original work: Steel, wood, PVC). Courtesy of the artist [huge_it_gallery id="113"] gallery a cura di Monica Di Brigida  [social_link type="twitter" url="http://twitter.com/simonamaggiorel" target="" ][/social_link]  @simonamaggiorel

 Il Museo del Barrio di New York presenta Illusive eye, ripercorrendo che – fino al 21 maggio – un secolo di arte che usa giochi di forme astratte e linee per creare illusioni ottiche o cinetiche. Questa mostra vertiginosa presenta opere di maestri della Bauhaus come Joseph Albers (1888-1976) insieme ad artisti e performers che della linea hanno fatto un’ossessione, arrivando agli estremi della Op art e alla grafica psichedelica.
Ed è interessante notare come in autori come Albers (a cui la Fondazione Stelline di Milano ha dedicato una ampia retrospettiva)  il razionalismo si sposi perfettamente con la religione. Cattolico e fervente sostenitore dello spirituale nell’arte, il tedesco Albers usava il colore nelle sue composizioni geometriche per renderle ancora più astratte, irreali, “divine”, così come uutilizzava il contrasto del  bianco e nero per creare giochi intellettuali di forme che danno l’illusione del movimento.
Dagli anni  Sessanta in  poi l’arte concettuale si fece  via via sempre più fredda,  cercando forme enigmatiche, metafore visivo- verbali via via sempre più cervellotiche. Così, mentre con il  boom economico l’Occidente diventava  la società dell’immagine accendendo tv in ogni casa eavvolgendo le città di pubblicità, “paradossalmente” la ricerca sull’immagine in arte entrava nel loop di una geometrizzazione via via sempre più disseccata, svuotata di contenuto. Prevale il gusto del  gioco intellettuale, al limite della sciarada. Fortissima questa tendenza appare in Argentina tra letteratura e pittura. Basta pensare alla prosa labirintica di Borges che trova un analogo estremo nella pittura di Julio Le Parc, Martha Boto, Ana Sacerdote, Eduardo Mac Entyre, García Rossi e altri, come racconta questa mostra newyorkese curata da Jorge Daniel Veneciano, che rintraccia nessi fra la scena artistica argentina  e quella venezuelana e cilena.  Indicandone le radici europee nel Bauhaus e negli artisti della diaspora, che fuggirono dalla Germania nazista per cercare rifugio in America.      @simonamaggiorel

immagine in evidenza: Spazio Ad Attivazione Cinetica 6B, APOLLONIO Marina, 1966‐2015, Vinyl (original work: Steel, wood, PVC). Courtesy of the artist

gallery a cura di Monica Di Brigida

 [social_link type=”twitter” url=”http://twitter.com/simonamaggiorel” target=”” ][/social_link]  @simonamaggiorel