Abbiamo intervistato Pietro Scarnera l'artista vincitore del premio Rivelazioni al Festival International de la Bande Dessinée di Angoulême, gli “Oscar del fumetto”, giunti alla 43ª edizione

Torinese, timido e profondamente incisivo. Chi lo conosce sa che i suoi silenzi sono come il tratto della sua matita: segno di delicatezza e profonda osservazione.
Pietro Scarnera, 37 anni e il viso da bambino segnato, è il vincitore del premio Rivelazioni al Festival International de la Bande Dessinée di Angoulême, gli “Oscar del fumetto”, giunti alla 43ª edizione. Con la sua Une étoile tranquille, tradotto in Francia dopo il successo dell’originale italiano Una stella tranquilla. Ritratto sentimentale di Primo Levi (edizioni Comma 22, 2014) , il giovane illustratore esporta non solo uno stile, un modo di disegnare, ma anche una sensibilità preziosa: quella che consente di trattare temi altrimenti laceranti, terribili, in maniera lieve e allo stesso tempo intima. E con curiosità.

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L’aveva già fatto con il suo primo libro, Diario di un addio (sempre Comma 22, 2010), un commovente racconto autobiografico che narra, da dentro, la condizione di molti: l’attesa, silenziosa e piena di domande, accanto al padre in stato vegetativo in una stanza di ospedale.

Per il suo secondo lavoro, Scarnera ha scelto di “entrare” dentro Primo Levi, raccogliendone l’eredità. Ispirato dall’omonima favola (Una stella tranquilla, appunto), in cui lo scrittore sopravvissuto ai lager ma non all’infezione dei suoi orrori, narra della difficoltà drammatica e allo stesso tempo meravigliosa, della vita e di certe “stelle” nell’esprimere la propria grandezza, e nostra di raccontarla. Per dirla con le parole dell’autore italiano, «una favola che ridesti echi, ed in cui ciascuno ravvisi lontani modelli propri e del genere umano».

Una personalissima biografia, quella di Scarnera, che traccia il percorso di Levi di cui troppo spesso si conosce solo la tragedia, e che inizia da un racconto troncato: quello della vita di Primo Levi. E che si conclude proprio un attimo prima dell’esplosione di questa “stella tranquilla”, il suicidio di Levi l’11 aprile del 1987.

Quando iniziasti a disegnare le tavole, ricordo che mi e ti chiesi: come mai Primo Levi? Te lo richiedo ora.
Intanto perché è uno dei miei scrittori preferiti. Quindi a un certo punto, qualche anno fa per caso ripresi in mano Se questo è un uomo: mi si riaprì un varco e ricominciai a rileggere tutto. Romanzi, articoli, racconti, interviste, tutto. E ho scoperto uno scrittore che è molto più complesso di quello che non si sappia. E siccome non erano letture molto diffuse, uno degli impulsi del libro è proprio un invito alla lettura, alla mia generazione ma sopratutto per la generazione più giovane.
Averlo letto in maniera così approfondita di fa sentire un po’ sempre chiamato in causa. Se ci pensi, in un momento in cui i testimoni oculari sono pochi, sono sempre meno, mi sembra che la mia generazione debba provare a raccogliere quella testimonianza e portarla avanti, essendo noi gli ultimi ad avere un racconto vivo di quelle storie. Ricordo i racconti di guerra di mio nonno a Natale… È una memoria familiare. Da condividere con nipoti simbolici.
Ai testimoni oculari bisogna accostare dei testimoni mentali, come ha scritto in una spkendida recensione Anna Bravo cogliendo il senso del mio libro. Volevo ri-raccontare quella storia con un approccio nuovo. Il libro è costruito come un confronto delle generazioni. Due ragazzi – uno dei quali è il mio alter ego – che ripercorrono, dialogando, i luoghi di Levi: come si potrebbe fare sfogliando un album di famiglia.
Poi c’era il desiderio di raccontare la difficoltà che ha fatto per diventare uno scrittore, la difficoltà di essere ascoltato. È stato rifiutato da praticamente tutti gli editori. E poi, se ci pensi, Primo Levi è proprio bello, da disegnare: questi capelli a punta, questi occhiali grossi…. Era proprio bello.
E naturalmente, volevo anche raccontare Torino.

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Ecco: cosa avete in comune, oltre una Torino a cui tornare?
Il primo libro, come sai, è una testimonianza. Mi è stato molto utile leggere come lui racconta il lager in Se questo è un uomo: espone quello che ha visto e lascia che sia il lettore a farsi un’idea. E nel libro Diario di un addio mi sono limitato a raccontare come vive una persona in stato vegetativo e come vive suo figlio. Senza stare a entrare nel  dibattito, o nel caso di Luana Englaro, o nel discorso bioetico, ecc. Volevo far vedere quello che avevo visto io. E basta. Forse per questo mi sono appassionato ai suoi libri, che rilessi proprio in quel periodo: stavo vivendo un’esperienza molto difficile, e vedere come l’aveva affrontata qualcun altro – con le dovute differenze – mi è stato utile.
Scrivere questo libro forse, è stato come un modo di sdebitarsi.

«Per discorrere di stelle il nostro linguaggio è inadeguato e appare risibile», scrive Levi. Cosa hanno raccontato i tuoi disegni della vita dell’autore, che le parole non erano riuscite a tracciare?
Non lo so, è una domanda molto difficile (si schernisce). Forse, usare il tratto anziché la parola, ti offre la possibilità di essere più delicato su certi temi.
E poi: una biografia di 240pagine è impegnativa. Il mio ci metti due ore (ride).

Una bella soddisfazione vincere un oscar…com’è stato per te salire sul palco?
Veramente pauroso! Anche perché non lo sapevo. Anzi, mi avevano detto che non avevo vinto. Ero terrorizzato. Era la prima volta per me in Francia, al festival. Faccio ancora un po’ fatica a rendermene conto…terrorizzante, davvero.

Ha creato scalpore l’esclusione dal Grand prix, del fumetto femminile, per così dire. Ne abbiamo scritto sul numero di Left in edicola da domani. Eppure c’erano nomi degni di nota, come Giulia Sagramola. Cos’è successo?
Mah, c’è stata un po’ di confusione in realtà. Sul perché su 30nomi per il premio alla carriera non ci fosse nemmeno una donna, devi chiederlo alla giuria. Sicuramente ci sono donne più giovani con estremo talento, maggior di molte altre carriere. Ma le sezioni come quelle che ho vinto io, e nelle quali rientrano le giovani disegnatrici sono tutt’altro: tra quelle hanno vinto anche delle donne

Il fumetto in Francia gode maggiore considerazione rispetto all’Italia…
C’è un mercato più grande e sicuramente più abitudine alla lettura. i fumetti vengono letti anche da un pubblico adulto. Ma ora sta succedendo anche in Italia. Diciamo che c’è una tradizione più avviata. Anche se l’Italia, anche solo per gli autori che ha avuto e che continua avere – pensa solo a  Manuele Fior che ha vinto qualche anno fa, per esempio, o a Gipi -, è tra i Paesi più illustri e importanti del mercato.

Abbiamo moli giovani talenti. Lo dimostra anche il boom del vostro Grapich-news (sito di informazione giornalistica illustrata, aperto nemmeno un anno fa da Scarnera e altri liberi prfoessionisti in un “garage” di Bologna): come sta andando?
Bene! Stiamo andando avanti, continuiamo a pubblicare almeno una storia a settimana, gli autori crescono. Ora vorremmo provare a iniziare a lavorare con qualcuno all’estero.

E tu, stai già lavorando a un terzo libro?
In teoria si, c’è già un’idea…questo librino uscito a dicembre, che si chiamare Recplay, una storia di 24 pagine..È la storia di una cassetta che passa di mano in mano raccontando un’amicizia. Un dialogo tra lato A e lato B a suon di canzoni. Uno scambio come quando ci passavamo le audiocassette, ricordi? Altri tempi.

Impicciarsi di come funzionano le cose, è più forte di lei. Sarà per questo - o forse per l'insanabile e irrispettosa irriverenza - che da piccola la chiamavano “bertuccia”. Dal Fatto Quotidiano, passando per Narcomafie, Linkiesta, Lettera43 e l'Espresso, approda a Left. Dove si occupa di quelle cose pallosissime che, con suo estremo entusiasmo invece, le sbolognano sempre: inchieste e mafia. E grillini, grillini, grillini. Dalla sua amata Emilia-Romagna, torna mestamente a Roma, dove attualmente vive.