Con Sala candidato, sono tre i manager - tutti vengono da destra - che si sfideranno a Milano: mister Expo, Passera e Parisi. È il modello Renzi che trionfa. E la sinistra piange sul latte versato

Dura la vita a Milano con poco sole – vuole lo stereotipo – e tanti manager, che però non sono più solo un cliché della città che vuole esser “city”. Esistono veramente, i manager, e sono ovunque, o almeno sono in politica da vincitori indiscussi. Tre su tre, infatti, sono per il momento i candidati alle prossime amministrative che una volta avremmo chiamato tecnici se solo Mario Monti non avesse rovinato il marchio. Il primo, e ormai il più noto, ovviamente è Giuseppe Sala, bocconiano doc, laureato a 25 anni, nel 1983, e subito entrato in Pirelli dove ha lavorato fino a diventarne amministratore delegato. Poi è passato per Tim chiamato da Marco Tronchetti Provera, ed è da direttore generale della rete fissa che si dimette e incassa una signora buonuscita: 5,6 milioni. Siamo nel 2006, Sala lavora in finanza per due anni, poi arriva la chiamata di Letizia Moratti, e i rapporti con la politica si stringono. Prima con la destra, che l’ha voluto appunto city manager di Milano, poi con Enrico Letta, con la nomina a Expo, e poi ancora con Matteo Renzi con la candidatura alle primarie e l’altra nomina che arrotonda lo stipendio in Cassa depositi prestiti – incarico che Sala ha detto non lascerà.
Il secondo è Stefano Parisi, ex direttore generale di Confindustria e Ad di Fastweb. Non ha mai nascosto la simpatia per Berlusconi, Parisi, ma ora deve valutare bene se dire di sì alla richieste dell’anziano leader perché la candidatura di Sala ara il suo stesso campo, proprio lo stesso, a riprova di quanto sia ormai realizzato il modello del partito della Nazione. Sala che pesta i piedi a Parisi – anche lui city manager nominato però dal sindaco Albertini – nella città che doveva essere il fortino della brevissima stagione arancione. Il terzo, più indietro, è Corrado Passera che è partito con la sua campagna elettorale da mesi. Prima di fare il ministro nel governo Monti, quando ancora si atteggiava da tecnico e non aveva fondato un suo movimento politico, lui è stato uomo McKinsey e poi capo di Banca Intesa. Pure lui bocconiano il debutto nel mondo del lavoro è in Olivetti, poi segue De Benedetti in Cir e nel gruppo Espresso, infine Ciampi, per il governo Prodi, lo nomina a capo delle Poste. Alla sinistra, ingrato, ora Passera accolla ogni responsabilità: «Hai paura che ti rubino in casa? Basta con la sinistra», è uno dei suoi manifesti. Tre manager indistinguibili, non fosse dunque per la scelta dello slogan, e neanche una sfumatura di arancio, anche se Sala ora sa di dover recuperare lì i consensi che gli servono e dice, «sono in continuità con Pisapia», esaltandone però il più neutro «pragmatismo».
E così ci pare azzeccata la lettura che dà Claudio Cerasa. «Quello che stiamo osservando già da un po’ nelle grandi città», sostiene il direttore del Foglio, «non è altro che un grande iceberg, le cui mille punte emergono ormai con continuità nella politica italiana. Tu chiamala se vuoi pacificazione, tu chiamala se vuoi contaminazione, tu chiamalo se vuoi Partito della nazione». Milano è dunque una punta di iceberg, così come lo è la Sicilia di Faraone o la Calabria di Ncd. Una punta è stata poi l’elezione di Brugnaro, «il più renziano in città», sindaco di Venezia, questa volta formalmente sostenuto dal centrodestra.
Ma la sinistra? A Roma come a Milano stenta. Solo Napoli è un’eccezione, tenuta insieme da Luigi de Magistris che non ha fatto, a differenza di Pisapia, quello che si è dimostrato esser un favore a Renzi. A Milano Sel era con un piede dentro e uno fuori dalle primarie, e con quello dentro è pure riuscita a sostenere tre diversi candidati, Sala compreso. Ora deve sfilarsi – Possibile propone una lista unitaria, civica – e trovare un candidato. Ed è proprio Civati – uno dei papabili – a riportaci alla casella di partenza, alla vittoria di Sala e alle condizioni che l’hanno favorita, con la doppia candidatura di Balzani e Majorino. Dice Civati: «Pisapia ha fatto una serie di mosse che nessuno ha capito. O forse», e la mente corre al vertice tra l’ex sindaco, Balzani e Matteo Renzi, poche giorni prima che la stessa Balzani confermasse la candidatura, «ha agito ben consapevolmente».


 

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Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.