Clinton e Trump escono vincenti dalla nottata di Nevada e South Carolina. Ma per entrambi i partiti la corsa non è finita.
Le notizie:
Nei caucus del Nevada Hillary Clinton vince con il 52,7% contro i 47,2% di Sanders, molto meno di quanto non fosse previsto dai sondaggi qualche settimana fa. Ma pur sempre un risultato accettabile, non il fotofinish dell’Iowa. Bernie Sanders ottiene un ottimo risultato e mantiene alcuni punti di forza notevoli. Ora tutti in South Carolina.
Nelle primarie della South Carolina, Donald Trump è avanti di dieci punti (32,5%) rispetto a Marco Rubio e Ted Cruz (22,5% e 22,3%), secondo e terzo quasi appaiati. Jeb Bush, finito quarto sotto l’8% si ritira dalla corsa. Era il superfavorito dell’estate scorsa. La dinastia Bush sembra finalmente finita. Il miliardario newyorchese, invece, è sempre più la figura da battere. A cominciare dal Nevada.
Chi ha votato per chi
Tra i democratici le donne hanno votato più per Clinton e gli uomini più per Sanders. Sette giovani su dieci si sono schierati per il senatore del Vermont e due terzi degli over 45 per Hillary. La sorpresa demografica della serata è la vittoria di Bernie tra i latinos, segno di una capacità di espandere la propria base originaria (bianca). Clinton conferma la sua forza tra gli afroamericani – e nel discorso della vittoria nomina tutti temi a loro cari (la polizia e la riforma del sistema giudiziario, l’acqua al piombo di Flint): in South Carolina, si vince con il loro voto.
Tra i repubblicani è più complicata. Trump vince tra coloro, tanti, che si dicono stufi di come vanno le cose a Washington (il 40% del totale), quelli che chiedono che tutto cambi. Trump vince in quasi tutti i gruppi tranne i molto conservatori (che vanno a Cruz) e i giovani, che sono un quarto per lui e un quarto per Marco Rubio. Una costante importante nelle settimane che verranno, quando si vota in più Stati contemporaneamente e avere una base larga e un messaggio nazionale conta più dell’organizzazione. Se ha funzionato fino a oggi, potrebbe funzionare meglio dopo. Poveri e non istruiti votano Trump: una forza potenziale, anche contro i democratici In un elettorato tipico del Sud, religioso e conservatore nel 73% dei casi, l’evangelico Ted Cruz non riesce a sbancare in quella che la sua base naturale. E non la allarga.
Cosa significa l’uscita di scena di Jeb Bush?
Che l’establishment repubblicano ha perso il suo candidato. Deve in fretta trovarne un altro e questi è quasi necessariamente Marco Rubio. L’abbandono di Jeb significa milioni di dollari di grandi donatori pronti a convergere altrove. Rubio dovrebbe approfittarne. E in termini di voti? Kasich e Rubio sono i meglio posizionati a raccogliere l’eredità di Bush, non grande ma significativa. Il primo ha puntato tutto su un paio di Stati avanti nella cors,a per rendersi credibile, ergo non mollerà subito. È la figura di buon senso della pattuglia repubblicana. Ma quanti elettori di buon senso ci sono nel 2016 tra coloro che partecipano alle primarie del partito? Qualcuno suggerisce (ma è improbabile accada) a Rubio di chiedere a Kasich di ritirarsi e offrirgli il posto da vice nel ticket repubblicano. A quel punto i due sarebbero l’alternativa di partito a Trump.
Prossime tappe?
Ora i destini dei partiti si incrociano, si va in Nevada per i repubblicani e in South Carolina per i democratici. Trump e Clinton molto favoriti. Rubio potrebbe andare forte tra gli ispanici del Nevada (ma quanti sono quelli repubblicani? Pochi forse).
Cosa ci dice la scorsa notte?
In campo democratico le cose restano come erano: Sanders ha entusiasmo, milioni di piccole donazioni e molti soldi in cassa. E tanti volontari. Il suo messaggio chiaro e forte piace ai giovani. La corsa non è affatto finita, Hillary resta favorita, ma, come raccontiamo su Left in edicola, l’America di Sanders c’è, è viva e attiva e può riservare sorprese. Comunque, senza quell’entusiasmo Clinton non vince contro i repubblicani: ergo non deve e non può attaccare e distanziarsi troppo da Sanders. La forza di Trump, con tanti americani che dicono di essere stufi di Washington, ci dice che senza uno slancio alla Sanders, il rischio è che una parte del voto della working class vada a Trump, se sarà lui il candidato. Quanto a Hillary, il discorso della vittoria in Nevada, aggressivo, populista, rivolto alle minoranze, è forse la miglior cosa di questa campagna. Il primo segnale di forza, come candidata, da un paio di mesi.
Tra i repubblicani Trump resta superfavorito, ma Rubio è quello che esce meglio dalla South Carolina. Ted Cruz infatti non trionfa in uno Stato a lui congeniale. Certo, se si ritirasse il neurochirurgo ultrareligioso Ben Carson, Cruz avrebbe un nuovo pezzo di elettorato su cui contare. Ma Cruz ha usato giochi sporchi contro carson in Iowa e l’afroamericnao potrebbe decidere di restare ancora un po’ in gara per fargli un dispetto. Specie al Sud, molto coinvolto nel voto del SuperTuesday, il primo marzo. E quindi crescerebbe. Rubio però sembra l’unica forza credibile e dopo un disastro in New Hampshire, ieri notte le sue azioni valgono di più. L’establishment ha disperato bisogno di un candidato sul quale puntare per fermare Trump. Probabilmente sceglierà lui. Ma alcuni grandi donatori potrebbero puntare su Trump. La corsa sembra essere diventata a tre. Saprà Rubio coalizzare i moderati senza perdere i conservatori? E saprà Cruz allargare la sua base a una parte di moderati? Il SuperTuesday, quando votano 11 Stati, una battaglia che si combatte molto stando anche sui canali nazionali. Un vantaggio per Trump, che non ha quelle che si chiamano ground operation (una campagna locale ben organizzata) e che ha fatto bene anche dove queste sembravano indispensabili.