L’Iran, a modo suo, è la più grande democrazia del vicino Oriente, è tutto fuorché perfetta, ma gioca un ruolo tale che le elezioni parlamentari (e quelle per l’Assemblea degli esperti) sono un momento cruciale per gli scenari regionali e mondiali. Le ragioni per cui il voto iraniano è importante si elencano in fretta e senza bisogno di essere degli scienziati della geopolitica: la Siria, l’accordo sul nucleare e tutto quel che ne consegue in termini di commercio e prezzo del petrolio, l’Afghanistan, i precari equilibri regionali e le relazioni turco-russe.
Certo, il voto presidenziale del prossimo anno lo sarà ancora di più, ma anche questo passaggio è cruciale. Non fosse altro perché è la prima volta che gli iraniani si esprimono dopo l’accordo nucleare e la fine di molte delle sanzioni economiche imposte a Teheran da Stati Uniti ed Europa. Se si esclude il governo di Rouhani, moderatamente riformista, le altre cariche elettive (e non) sono nelle mani dell’ala conservatrice. Il voto è quindi cruciale per capire se e come muteranno gli equilibri politici.
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55 milioni alle urne per eleggere 280 deputati e 88 membri dell’Assemble degli esperti. Metà della popolazione è under 35, uno su quattro tra loro è disoccupato (il doppio della media nazionale)
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Il voto della Guida Suprema
Per cosa si vota?
L’assemblea degli esperti
È uno degli organi politico religiosi di una democrazia complicata e farraginosa che consegna ai chierici un potere enorme e di veto sul processo politico. Questa assemblea in particolare è particolarmente importante perché gli 88 eletti dovranno con ogni probabilità nominare, negli otto ani in cui rimarranno in carica, la Guida Suprema della rivoluzione, posto occupato dal 1989 dall’ayatollah Ali Khamenei, che pur godendo di buona salute, potrebbe ritirarsi, non farcela o morire prima delle nuove elezioni. A concorrere sono liste di “esperti di religione”, c’è una lista capitanata dall’ex presidente ayatollah Rafsanjani.
Navigato politico iraniano e in parte alleato del presidente Rouhani, Rafsanjani potrebbe puntare (con non molte chance) a diventare Guida Suprema. La sua lista è quella moderata, ce ne sono altre conservatrici e, infine, ce ne sono diverse molto conservatrici. La sfida per i riformatori è non avere troppi nemici duri e puri contro in un organo elettivo che è sempre stato molto conservatore. La novità di questa tornata è che le elezioni si svolgono in contemporanea a quelle parlamentari e, quindi, l’affluenza sarà molto più alta del solito. La cosa potrebbe favorire posizioni più moderate. Tra i candidati non ci sono donne, sebbene 16 avessero fatto domanda per essere in lista, non sono state ammesse dal Consiglio dei Guardiani della rivoluzione – altra istituzione politico-religiosa di 12 persone nominata direttamente o indirettamente dalla Guida Suprema e che ammette o meno i candidati nelle liste elettorali. La nomina della Guida Suprema richiede i due terzi dei voti dell’assemblea, quindi se l’influenza dei riformisti moderati di Rafsanjani crescesse, il loro peso sarebbe enorme.
Il Parlamento
qui la situazione è diversa, al presidente Rouhani serve un’Assemblea che, anche non fosse moderatamente riformista, non sia in netta contrapposizione con la sua politica in materia economica e di politica estera. Volendo rozzamente dividere i campi politici iraniani possiamo parlare di religiosi pragmatici, repubblicani moderati e poi repubblicani radicali (l’ala che guidò la rivolta del 2009 contro quella che venne definita una frode elettorale, quasi tutti in carcere) e conservatori radicali (l’ala dalle cui fila proveniva l’ex presidente Ahmadinejad). Come ogni volta che in Iran si vota, il Consiglio Supremo fa in modo di ripulire le liste in maniera pesante: 12mila candidature presentate e poco più di seimila ammesse. La maggioranza dei non ammessi sono riformisti. Tra questi il nipote del padre della patria Khomeini, escluso, ma ancora usato nei manifesti da Rafsanjani e alleati. Centinaia sono le donne. Ciò detto, sia l’ala riformista radicale, che pure non esprime candidati, che ovviamente Rouhani e i suoi, spingono per una partecipazione attiva al voto.
Il presidente Rouhani ha già votato
Più potere ai riformisti significherebbe un colpo alla Guardia rivoluzionaria, che oltre a essere il custode armato della rivoluzione, è anche un attore cruciale in economia. Meno sanzioni, più apertura verso l’esterno, anche in economia, sono un pericolo per questo potere. E non è detto che accetterebbe tranquillamente. È improbabile che il voto si risolva con un trionfo riformista: le città, i ceti urbani e i giovani istruiti che guidarono la rivolta del 2009 sono meno che non la grande popolazione delle periferie, i milioni di diseredati.
La battaglia ideologica è reale: c’è chi teme per il destino della rivoluzione islamica se il Paese si dovesse aprire troppo, la Bbc in farsi, vista come un agente esterno, è diventaa oggetto degli attacchi dei conservatori. C’è poi chi teme per la fine della democrazia, se lo scontro con l’ala conservatrice fosse troppo acceso dopo l’addio di Khamenei, il rischio è quello di una forzatura della Guardia rivoluzionaria: nel 2009 un’idea di cosa significhi uno scontro violento ce l’abbiamo avuta. Il tema è quale futuro per questa parte democrazia/parte teocrazia finito l’isolamento. Le elezioni sono cruciali, meno tese del 2009, ma la loro importanza resta enorme per il destino politico del Paese, come segnale per il voto presidenziale del prossimo anno, per gli equilibri regionali e, tutto sommato, per l’economia italiana, che in Iran è ben posizionata.