Sebastiao Salgado definisce il progetto Genesi «un tentativo di antropologia planetaria». Nato per documentare angoli del globo ancora non aggrediti dall'inquinamento e dall'economia selvaggia. Ma anche per proporre alle nuove generazioni l'immagine di un rapporto equilibrato, possibile, fra uomo e natura. Ha dietro queste motivazioni forti la mostra che dal 27 febbraio al 26 giugno approda nel sottoporticato di Palazzo Ducale a Genova. Un percorso di duecento fotografie in bianco e nero, in cui il fotografo brasiliano propone un viaggio straordinario attorno al globo, dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, al Congo, dall’Indonesia alla Nuova Guinea. E oltre. Passando dai ghiacciai dell’Antartide, alla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia. Un viaggio durato otto anni e che è stato tradotto sul grande schermo da un mestro del cinema come Wim Wenders, che negli ultimi anni ha dato il meglio di sé nella misura del documentario. (In occasione della mostra il suo docufim Il sale della terra sarà proiettato al Cinema Sivori di Genova, dal 10 al 13 marzo).
Curata da Lélia Wanick Salgadoun e accompagnata da un catalogo edito da Contrasto, l'esposizione genovese è articolata attorno ad elementi naturali, dal forte valore simbolico: aria, acqua e fuoco, terra, da cui è scaturita la vita. L'eleganza delle immagini, il forte impatto visivo, fanno del lavoro di Salgado un prodotto estremamente seducente. E in mezzo al plauso spunta anche qualche voce critica riguardo ad una eccessiva estetizzazione. Ma Salgado rivendica: «La mia non è solo una ricerca estetica ma anche etica». Radicata in lunghi di lavoro come freelance e poi per le agenzie fotografiche Sygma, Gamma e Magnum, fino a decidere di fondare con Lèlia la agenzia Amzonas Images, con cui si è occupato degli indios e dei contadini dell’America Latina, della carestia in Africa verso la metà degli anni Ottanta. Senza dimenticare il lavoro con cui ha documentato la fine della manodopera industriale su larga scala e poi raccolto nel libro La mano dell’uomo, (Contrasto, 1994) e il progetto dedicato a profughi, rifugiati, e migranti.
«Genesi è un modo per dire soprattutto alle nuove generazioni che il Pianeta è ancora vivo e va preservato - ribadisce il fotografo -.Abbiamo fatto una ricerca e abbiamo fatto una scoperta molto interessante: circa il 46 per cento del mondo è ancora intatto, insieme possiamo continuare a fare in modo che questa bellezza non scompaia». @simonamaggiorel
[huge_it_gallery id="150"] immagine in evidenza: Kafue National Park, Zambia, 2010 - © Sebastião Salgado/Amazonas Images/ContrastoSebastiao Salgado definisce il progetto Genesi «un tentativo di antropologia planetaria». Nato per documentare angoli del globo ancora non aggrediti dall’inquinamento e dall’economia selvaggia. Ma anche per proporre alle nuove generazioni l’immagine di un rapporto equilibrato, possibile, fra uomo e natura. Ha dietro queste motivazioni forti la mostra che dal 27 febbraio al 26 giugno approda nel sottoporticato di Palazzo Ducale a Genova. Un percorso di duecento fotografie in bianco e nero, in cui il fotografo brasiliano propone un viaggio straordinario attorno al globo, dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, al Congo, dall’Indonesia alla Nuova Guinea. E oltre. Passando dai ghiacciai dell’Antartide, alla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia. Un viaggio durato otto anni e che è stato tradotto sul grande schermo da un mestro del cinema come Wim Wenders, che negli ultimi anni ha dato il meglio di sé nella misura del documentario. (In occasione della mostra il suo docufim Il sale della terra sarà proiettato al Cinema Sivori di Genova, dal 10 al 13 marzo).
Curata da Lélia Wanick Salgadoun e accompagnata da un catalogo edito da Contrasto, l’esposizione genovese è articolata attorno ad elementi naturali, dal forte valore simbolico: aria, acqua e fuoco, terra, da cui è scaturita la vita. L’eleganza delle immagini, il forte impatto visivo, fanno del lavoro di Salgado un prodotto estremamente seducente. E in mezzo al plauso spunta anche qualche voce critica riguardo ad una eccessiva estetizzazione. Ma Salgado rivendica: «La mia non è solo una ricerca estetica ma anche etica». Radicata in lunghi di lavoro come freelance e poi per le agenzie fotografiche Sygma, Gamma e Magnum, fino a decidere di fondare con Lèlia la agenzia Amzonas Images, con cui si è occupato degli indios e dei contadini dell’America Latina, della carestia in Africa verso la metà degli anni Ottanta. Senza dimenticare il lavoro con cui ha documentato la fine della manodopera industriale su larga scala e poi raccolto nel libro La mano dell’uomo, (Contrasto, 1994) e il progetto dedicato a profughi, rifugiati, e migranti.
«Genesi è un modo per dire soprattutto alle nuove generazioni che il Pianeta è ancora vivo e va preservato – ribadisce il fotografo -.Abbiamo fatto una ricerca e abbiamo fatto una scoperta molto interessante: circa il 46 per cento del mondo è ancora intatto, insieme possiamo continuare a fare in modo che questa bellezza non scompaia». @simonamaggiorel
immagine in evidenza: Kafue National Park, Zambia, 2010 – © Sebastião Salgado/Amazonas Images/Contrasto