Corruzione, politiche autoritarie, ecosistemi stravolti. Berta Cáceres, Premio Goldman per l’Ambiente, sei mesi fa ci ha raccontato il suo Honduras, tra l’assalto dell’industria estrattiva e la risposta della società civile. Stanotte la hanno uccisa in casa sua

La hanno uccisa in casa, mentre dormiva. E ferito suo fratello. Berta Cáceres la leader indigena honduregna è l’ennesima vittima della violenza contro chi si batte per i diritti degli indigeni e difende le terre ancestrali in quel Paese e in tutto il centro America. Avevamo intervistato Berta pochi mesi fa, quando aveva ricevuto il premio Goldman 2015. Ecco quel che ci aveva detto

Donna, madre e indigena mesoamericana. Berta Cáceres, leader del Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh), da oltre vent’anni rischia la vita per difendere lo straordinario patrimonio culturale e ambientale del popolo Lenca, tra i più antichi del continente. Lo scorso aprile è stata insignita del Premio Goldman per l’Ambiente, il più alto riconoscimento assegnato agli ecoattivisti per le vittorie conseguite nel proprio contesto comunitario. Alla guida della comunità di Rio Blanco, Cáceres ha estromesso l’impresa nazionale Desa e i maggiori costruttori di dighe al mondo, i cinesi di Sinohydro, dalla realizzazione del complesso idroelettrico Agua Zarca, previsto sul Rio Gualcarque, nell’Honduras Nord-occidentale. Un fiume sacro nella cosmogonia Lenca, fonte d’acqua per circa 600 famiglie che vivono nella foresta pluviale d’alta quota compresa fra i dipartimenti di Santa Barbara e Intibucà. Senza il loro consenso, l’impianto era stato autorizzato contravvenendo alla Convenzione Ilo 169 del 1989 sul diritto all’autodeterminazione dei popoli indigeni.

Per oltre un anno, i nativi hanno bloccato l’accesso al cantiere resistendo a sgomberi, aggressioni, arresti, torture. Presentato ricorso all’International finance corporation (Ifc), ente finanziatore e braccio privato della Banca Mondiale, la leader indigena ha portato il caso fino alla Commissione dei diritti umani interamericana. L’ennesimo omicidio di un membro del Copinh ha convinto la Sinohydro a sciogliere il contratto e l’Ifc a ritirare i fondi. Un traguardo importante, strappato col sangue.

Cáceres ha subìto minacce di morte e portato i figli in Argentina per scongiurare il rischio sequestri. Accusata di terrorismo, è stata arrestata e perseguitata giuridicamente dal governo. Ciò nonostante, è diventata un riferimento per la causa indigena, da lei perorata di fronte alla Corte europea di Strasburgo, alla Banca Mondiale e lo scorso novembre in Vaticano. Le abbiamo parlato al ritorno dal suo viaggio negli Stati Uniti, un tour di consultazioni presso la Casa Bianca, l’Epa (Agenzia per l’ambiente) e il Dipartimento di Stato. Ci ha raccontato l’Honduras di oggi e le nuove sfide che attendono il Copinh e il popolo Lenca.

Cosa è emerso dai suoi incontri negli Usa?

Ci siamo confrontati con diversi esperti della Casa Bianca e membri del Congresso, presentandoci per quello che siamo: un popolo indigeno che con dignità rivendica la sovranità sulla propria terra. Abbiamo denunciato le responsabilità del governo statunitense nell’aggressione al nostro territorio. Dalle politiche egemoniche alla transnazionalizzazione, fino alle misure di sicurezza imposte con l’Alleanza per la prosperità del Triangolo Nord. Siglata lo scorso febbraio da Honduras, El Salvador e Guatemala per stabilire una zona di libero scambio, l’Alleanza è finanziata dagli States con l’intento di foraggiare investimenti privati, creare lavoro e scoraggiare l’immigrazione. Considerando il livello di corruzione e impunità della classe politica e la sistematica violazione dei diritti umani, l’accordo andrà a esasperare la già drammatica situazione sociale e la militarizzazione del territorio. Abbiamo espresso preoccupazione anche per la base militare di Soto Cano, nota come Palmerola, che ha avuto un ruolo chiave nel golpe militare del 2009. Lo scorso aprile è stata ampliata con l’Unità di forze speciali aria-terra e marina-sud che sarà operativa da giugno.

Come vive oggi il popolo Lenca?

Quello dell’Honduras è un contesto socio-politico difficile, con una politica di forte repressione nei confronti dei nativi, a monte di un progetto di depredazione delle ricchezze del sottosuolo. L’impoverimento, seguito a espropri e privatizzazioni, ha dato impulso all’esodo dei giovani, che affrontano viaggi durissimi verso il Nord America pur di sostenere le famiglie. Attraversano il Messico a bordo della Bestia, il treno della morte al quale, ogni anno, si aggrappano centinaia di migliaia di indocumentados rischiando mutilazioni, arresti o sequestri di massa. Fenomeno che interessa tutto il Paese, afflitto dalla disoccupazione e dalle maras, le gang criminali legate al narcotraffico.

Come ha pesato sul territorio honduregno il colpo di Stato del 2009?

Ha dato il via libera al neoliberismo più sfrenato, radicalizzando corruzione e abusi di potere. Le oltre 470 concessioni minerarie a multinazionali estere hanno svenduto il 31 per cento del territorio, compromesso ormai da cianuro, mercurio e arsenico usati nei processi di lavorazione. Per soddisfare il fabbisogno energetico del settore estrattivo, sono stati privatizzati 47 fiumi, con il via libera alla costruzione di 27 dighe, fra cui quella di Agua Zarca. Una pioggia di decreti ha autorizzato impianti turistici ed eolici su grande scala e concesso migliaia di miglia della Mosquitia honduregna, ecosistema protetto, per l’estrazione di petrolio. Per non parlare delle monocolture dell’agro-combustibile, che minacciano biodiversità e sovranità alimentare. Questi interessi e capitali sono legati al narcotraffico e all’élite governativa. Per questo è sempre più rischioso esprimere dissenso.

Dopo la vittoria di Agua Zarca la vostra battaglia contro le dighe prosegue. Perché?

Fermare il colosso cinese Sinohydro è un precedente importante. La Desa però vuole spostare l’impianto un chilometro più avanti sempre con concessioni illegali. Poi c’è un’altra minaccia chiamata Blue Energy, impresa di capitale honduregno, statunitense e canadese, decisa a costruire su un altro fiume sacro, il Rio Cangel. E con la firma del Plan Mesoamerica, piano di gestione idroelettrica, si prevede la costruzione di 300 nuovi maxi-progetti.

Voi denunciate la militarizzazione del Paese. Ci spiega in che cosa consiste?

La difesa di interessi tanto grandi e la guerra ai narcos ha giustificato l’aumento delle basi militari. Nel 2013 sono sorti tre centri operativi Usa per il training delle truppe in Iraq. L’Honduras è diventato l’area di addestramento dell’esercito colombiano e israeliano, principale fornitore di armi, che sta beneficiando dell’instabilità interna. Il presidente Juan Orlando Hernandez ha creato le zone di impiego e sviluppo economico (Zede): enclave coloniali dotate di legislazione, sistema migratorio e esercito proprio, al servizio esclusivo del capitale. La prima è prevista in prossimità del Porto di Amapala, nel Golfo de Fonseca, dove si affacciano El Salvador, Honduras e Nicaragua.

Quindi si può parlare di una vera e propria deriva autoritaria del governo.

Lo scorso aprile, la Corte Suprema ha abrogato l’articolo 239 della Costituzione, dando il via alla rieleggibilità del capo dello Stato. Un abuso di autorità degno di un governo dittatoriale, in contraddizione con le accuse mosse nel 2009 dal Partito nazionalista all’ex presidente Manuel Zelaya, espulso perché tacciato di voler modificare con referendum la Carta costituzionale per prolungare il suo mandato. Vista la macchina dei brogli che le forze di estrema destra sono in grado di azionare, è chiaro che sarà Juan Orlando Hernadez il prossimo presidente. Per finanziare le elezioni del 2013, il Partito Nazionale ha sottratto indebitamente milioni di lempira dalle casse dell’Istituto honduregno di previdenza sociale (Ihss), lasciando senza assistenza tremila persone. Scandalo che, nelle ultime settimane, ha scatenato un’ondata di mobilitazioni in tutto il Paese.

Un video che racconta la figura di Berta Cáceres

Anche l’Italia è coinvolta in alcune speculazioni ai vostri danni. Ce ne può parlare?

Durante la programmazione dell’Isola dei Famosi ho denunciato al governo italiano e alla Commissione europea l’attività della Astaldi, ditta costruttrice del complesso turistico Indura Beach, a Baia Tela, di fronte alla location del reality. Il villaggio sorge su un’area protetta abitata da secoli dalla comunità afrocaraibica, sgomberata nel 2014 e portata in giudizio, lo scorso mese, per aver protestato contro gli espropri. Controllata dall’italiana Goldlake Group e specializzata nello sfruttamento minerario, l’Eurocantera è responsabile invece di aver inquinato e deviato il corso dei torrenti nella comunità di Agalteca. Al momento siamo impegnati in un’inchiesta su diverse società coinvolte nella privatizzazione dell’acqua e nel settore dell’estrazione. Dal 7 all’11 luglio si incontrano a Tegucigalpa per il primo “Congresso internazionale minerario dell’Honduras”. E non mancheranno le proteste.

Quali sono i vostri rapporti con la società civile internazionale?

Il Copinh è portatore di un’alternativa centrata sulla dignità umana, sul rispetto dell’ambiente e su una visione di giustizia sociale ed economica antipatriarcale, anticapitalista e antirazzista. Crediamo che la solidarietà non abbia frontiere, parte di una visione condivisa che lega tutte le realtà che si battono per la vita e il rispetto dei beni comuni. In Italia, abbiamo marciato al fianco del movimento No dal Molin, a quello No Tav e, lo scorso ottobre a Roma, per i curdi del Rojava. Il nostro appello è quello di unirci per una globalizzazione delle lotte, tesa a osteggiare la distruzione dei popoli indigeni per mano degli interessi corporativi.

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Il movimento

Fondato a La Esperanza nel 1993, il Copinh raccoglie circa 200 comunità Lenca. Ha fermato speculazioni minerarie, contribuito alla nascita di aree forestali protette, vigilato sulle violazioni dei diritti umani e promosso processi di autonomia, istituendo scuole, radio comunitarie, centri medici, antiviolenza e di formazione professionale. Un movimento spesso minacciato dagli squadroni della morte al soldo delle imprese (101 gli omicidi di ecoattivisti registrati nel Paese dal 2010 al 2014). Soprattutto dopo il colpo di Stato del 2009, seguito dall’impennata dei mega-progetti idroelettrici e minerari approvati.