“Sono di sinistra come lei” mi dice un signore dai capelli bianchi, presumibilmente un pensionato. “Sì, sono stato comunista, prosegue, ma noi di sinistra saremo il 6-7 per cento dell’elettorato e senza allearci, senza fare compromessi, non potremo mai contare”. È un’opinione più diffusa in Italia di quanto si creda. Un pregiudizio che consente di trasformare in una vittoria mediatica il compromesso, con Alfano, Verdini e imposizione della fiducia, sulle unioni civili. Che permette al governo di strombazzare una ripresina dello zero virgola, oscurando gli ultimi dati sulla deflazione o il fatto che, anche dove il Pil è cresciuto in modo più netto, in Irlanda e in Spagna, la sinistra e vasti strati sociali non vogliano rassegnarsi alla crescita del precariato e alla progressiva erosione del ceto medio. Anche in Europa comincia a farsi strada l’idea che “il caso Italia” dimostrerebbe l’impossibilità per la sinistra di farsi maggioranza, se non rinunciando alle sue idee. Così in Spagna Sanchez ha scelto di allearsi con Ciudadanos, movimento che vuole rinnovare la destra, prima di chiedere a Podemos di sostenere il suo tentativo di governo. E in Francia il ministro dell’Economia, Emmanuel Macron non nasconde il suo disagio nei confronti di un presidente, Hollande, che Marc Lazar accomuna nel giudizio negativo (ancora troppo socialdemocratico e perciò perdente) all’italiano Bersani. Non siamo ancora all’imitazione di un “modello italiano” né mi pare che i legislatori delle democrazie europee abbiano già deciso di imitare l’Italicum, per emancipare un centro, colorato di sinistra, dal “ricatto” delle sinistre, ma è vero che il segretario del Pd trova interlocutori anche oltre confine. Il punto è che non è vero. Non c’è una maledizione storica per la quale la sinistra non possa riunire intorno a sé una maggioranza ampia, non possa provocare entusiasmi e suscitare speranze fra giovani, pensionati, artigiani, scienziati, professionisti, imprenditori persino. Se in Italia non è accaduto è perché troppo forte è rimasto il retaggio della doppiezza comunista. Il Pci era partito nazionale, pronto al dialogo e al compromesso, ma al tempo stesso forza di osservanza sovietica, che dava al termine “sinistra” un significato escatologico, con la promessa di una nuova Gerusalemme il cui spazio, purtroppo, era occupato dalla dittatura staliniana, poi dalla costruzione del muro a Berlino, infine dai carri armati a Praga. Così certo “noi di sinistra” restiamo pochi e pazzi e dobbiamo camuffarci. Left ha un’altra idea di sinistra. Per noi è di sinistra credere nella ricerca scientifica, su cui nessun governo - neppure l’attuale, come dimostra Greco - ha mai investito davvero. Per noi è significa battersi per l’Europa, cedendole parte della nostra sovranità in cambio di una politica fiscale unitaria e solidale. È di sinistra trasformare l’immigrazione - che è una costante della Storia umana - da motivo di paura in risorsa per il futuro. È promuovere una conferenza nazionale, con operai e imprenditori, per porre un semplice interrogativo: quale politica industriale serva al Paese, cosa produrre, con che impegno per l’innovazione. Sinistra è battersi per i diritti e per le tutele sociali, perché senza diritti e senza tutele l’Europa non sarebbe l’Europa. Non potrebbe andar fiera della sua radicale contrapposizione alla barbarie wahabita e salafita. Né troveremmo la forza per combattere il terrorismo senza diventare simili ai terroristi. Sinistra è pensare a nuovi consumi collettivi e a beni comuni, tema anticipato trenta anni fa da Berlinguer e che ora fa capolino negli ambienti meno incolti o più innovativi dello stesso capitalismo. È dare una possibilità ai giovani e non trattare esodati e pensionati come prodotti di scarto o gregge da mungere. Sinistra è anche proporre “molta più gentilezza” come fa Yann Arthus-Bertrand nella storia di copertina. Perché mai questa sinistra non potrebbe vincere le elezioni? [su_divider text="In edicola" style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

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“Sono di sinistra come lei” mi dice un signore dai capelli bianchi, presumibilmente un pensionato. “Sì, sono stato comunista, prosegue, ma noi di sinistra saremo il 6-7 per cento dell’elettorato e senza allearci, senza fare compromessi, non potremo mai contare”. È un’opinione più diffusa in Italia di quanto si creda. Un pregiudizio che consente di trasformare in una vittoria mediatica il compromesso, con Alfano, Verdini e imposizione della fiducia, sulle unioni civili. Che permette al governo di strombazzare una ripresina dello zero virgola, oscurando gli ultimi dati sulla deflazione o il fatto che, anche dove il Pil è cresciuto in modo più netto, in Irlanda e in Spagna, la sinistra e vasti strati sociali non vogliano rassegnarsi alla crescita del precariato e alla progressiva erosione del ceto medio.

Anche in Europa comincia a farsi strada l’idea che “il caso Italia” dimostrerebbe l’impossibilità per la sinistra di farsi maggioranza, se non rinunciando alle sue idee. Così in Spagna Sanchez ha scelto di allearsi con Ciudadanos, movimento che vuole rinnovare la destra, prima di chiedere a Podemos di sostenere il suo tentativo di governo. E in Francia il ministro dell’Economia, Emmanuel Macron non nasconde il suo disagio nei confronti di un presidente, Hollande, che Marc Lazar accomuna nel giudizio negativo (ancora troppo socialdemocratico e perciò perdente) all’italiano Bersani. Non siamo ancora all’imitazione di un “modello italiano” né mi pare che i legislatori delle democrazie europee abbiano già deciso di imitare l’Italicum, per emancipare un centro, colorato di sinistra, dal “ricatto” delle sinistre, ma è vero che il segretario del Pd trova interlocutori anche oltre confine.

Il punto è che non è vero. Non c’è una maledizione storica per la quale la sinistra non possa riunire intorno a sé una maggioranza ampia, non possa provocare entusiasmi e suscitare speranze fra giovani, pensionati, artigiani, scienziati, professionisti, imprenditori persino. Se in Italia non è accaduto è perché troppo forte è rimasto il retaggio della doppiezza comunista. Il Pci era partito nazionale, pronto al dialogo e al compromesso, ma al tempo stesso forza di osservanza sovietica, che dava al termine “sinistra” un significato escatologico, con la promessa di una nuova Gerusalemme il cui spazio, purtroppo, era occupato dalla dittatura staliniana, poi dalla costruzione del muro a Berlino, infine dai carri armati a Praga. Così certo “noi di sinistra” restiamo pochi e pazzi e dobbiamo camuffarci.

Left ha un’altra idea di sinistra. Per noi è di sinistra credere nella ricerca scientifica, su cui nessun governo – neppure l’attuale, come dimostra Greco – ha mai investito davvero. Per noi è significa battersi per l’Europa, cedendole parte della nostra sovranità in cambio di una politica fiscale unitaria e solidale. È di sinistra trasformare l’immigrazione – che è una costante della Storia umana – da motivo di paura in risorsa per il futuro. È promuovere una conferenza nazionale, con operai e imprenditori, per porre un semplice interrogativo: quale politica industriale serva al Paese, cosa produrre, con che impegno per l’innovazione. Sinistra è battersi per i diritti e per le tutele sociali, perché senza diritti e senza tutele l’Europa non sarebbe l’Europa. Non potrebbe andar fiera della sua radicale contrapposizione alla barbarie wahabita e salafita. Né troveremmo la forza per combattere il terrorismo senza diventare simili ai terroristi. Sinistra è pensare a nuovi consumi collettivi e a beni comuni, tema anticipato trenta anni fa da Berlinguer e che ora fa capolino negli ambienti meno incolti o più innovativi dello stesso capitalismo. È dare una possibilità ai giovani e non trattare esodati e pensionati come prodotti di scarto o gregge da mungere. Sinistra è anche proporre “molta più gentilezza” come fa Yann Arthus-Bertrand nella storia di copertina. Perché mai questa sinistra non potrebbe vincere le elezioni?

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