Se a tutti gli ostacoli che incontra oggi l’applicazione della legge 194, sommiamo la sciatteria di questo Decreto depenalizzazioni, il giro è fatto! È inevitabile l’allargarsi delle sacche di clandestinità

La mia impressione è che la depenalizzazione dell’aborto clandestino abbia automaticamente fatto scattare il reato amministrativo e la sanzione che oscilla tra i 5 e i 10mila euro. La gravità di questa scelta mi sembra intuitiva. Probabilmente è dovuta a sciatteria e a automatismi, poiché è chiaro che se si depenalizza l’aborto clandestino e se ne fa un reato amministrativo con multa, automaticamente tutti i reati compresi in quel capitolo passano a quel tipo di multa. Ed è del tutto evidente che questo ha effetti molto negativi, pensate a quelle donne che dovessero avere delle complicazioni per un aborto, per evitare la multa potrebbero scegliere di evitare anche di rivolgersi all’ospedale.
Ma la cosa più grave è che se si guarda la relazione del ministro della Salute Lorenzin, si evince che il ricorso all’aborto clandestino è, in stragrande maggioranza, dovuto al fenomeno dell’obiezione di coscienza che ha assunto livelli insopportabili. Il 70% dei ginecologi, il dato è nazionale, ha sollevato l’obiezione di coscienza, con percentuali totali, oltre il 90 per cento, in regioni come, per esempio, il Molise o le Marche. Il 35% degli ospedali italiani, poi, non applica proprio la legge, fa la cosiddetta “obiezione di struttura”, cioè l’intera struttura non pratica interruzioni di gravidanza, violando la legge perché la legge – non dimentichiamolo – stabilisce che indipendentemente dall’obiezione di coscienza individuale, la struttura è tenuta a trovare delle soluzioni affinché la 194 venga applicata. Quindi, l’obiezione di struttura è totalmente illegale perché non applica la legge e in più all’interno di queste non riesci a sapere quanti obiettori ci sono perché è l’intera struttura a fare obiezione. Se poi aggiungiamo che a questa situazione si è aggiunto le difficoltà che incontra l’aborto farmacologico, la situaiozne si fa grave. La Ru 486 (la pillola abortiva), oggi copre circa il 9% delle interruzioni di gravidanza e questo dato così basso rispecchia ovviamente la difficoltà di accedere a questa metodica. Per esempio, sempre nelle Marche è impossibile usare la Ru 486, non la danno proprio. In più le linee guida del Ministero dicono che chi vuole la Ru486 si deve sottoporre a tre giorni di ricovero. Capite bene che mentre l’interruzione di gravidanza normale (chirurgica) si fa in day hospital – ammesso che uno ci riesca! – è chiaro che molto spesso è complicato “scegliere” di ricoverarsi tre giorni.

Tutti questi ostacoli all’applicazione della legge, al primo posto l’obiezione di coscienza sia individuale che di struttura, hanno automaticamente portato all’allargarsi di sacche di clandestinità e se aggiungiamo la sciatteria del Decreto depenalizzazioni, il giro è fatto!
La verità è che a forza di non andare avanti, facciamo battaglie di retroguardia… è chiaro che la 194 nel ’78 nasceva da un compromesso perché dichiarava che l’aborto non era punibile se fatto nelle strutture pubbliche, mentre rimaneva reato se fatto nelle private. Compromesso che oggi andrebbe superato. Ed invece abbiamo a che fare con tutti questi piccoli ostacoli buroratici, o non burocratici, che messi insieme restituiscono il quadro di una situazione davvero preoccupante. Perché a monte c’è l’idea che “partorirai con dolore” e abortirai sotto tortura, e se vuoi morire dignitosamente sei costretto a pellegrinare altrove. Ed è sempre così.
L’idea rimane quella che i problemi (anche sociali) si risolvono con i carabinieri, i divieti, le multe… mentre dai dati che abbiamo detto, impressionanti quelli sulla Lombardia, l’aborto clandestino è, in molti casi e in molte parti d’Italia, l’unica soluzione possibile.


 

Questo articolo è tratto dal n. 10 di Left in edicola dal 5 marzo

 

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