C’ è stato un tempo in cui la Florida era il centro del boom edilizio americano. Non è più così. I resort e villaggi multiproprietà costruiti nei luoghi meno famosi e lussuosi – e venduti a peso d’oro fino al 2008 – oggi sono mezzi vuoti. Oppure abitati da pensionati che pensavano a quella casa come a un investimento dove passare molto tempo, ma non tutta la vecchiaia. Dal 2008 il meccanismo “indebitamento-investimento-restituzione dei soldi chiedendo altri soldi in prestito grazie al valore cresciuto della casa”, è saltato. E per molti ha significato la fine delle certezze coltivate per una vita. E un’esistenza passata in questi villaggi semi-deserti, spesso tristi come i luoghi di villeggiatura in inverno – perché per quanto la bella stagione in Florida sia lunga, non è infinita.
Nella “cintura della ruggine”
Il Michigan invece è in decadenza da decenni. L’amministrazione Obama ha impedito che l’industria dell’auto morisse per sempre, ma certo nella Rust belt, la cintura della ruggine – chiamata così perché ospita le carcasse di centinaia di fabbriche vuote -, ci sono migliaia di famiglia operaie che si guardano attorno sperdute. C’è chi lavora in un Wal Mart, chi fa il facchino in un magazzino Amazon e chi è impiegato nelle piccole fabbriche che forniscono i giganti della grande distribuzione che, come mi raccontò una volta un sindacalista in Wisconsin, «si sentono dire: il prezzo è questo, prendi o me ne vado in Cina domani». La conseguenza è semplice: salari che scendono e un altro piccolo modello di vita ordinata che va in fumo. Non per tutti ma per molti.
I dati sul declino di alcune aree urbane parlano chiaro: ci sono regioni del Sud repubblicano e del Midwest dove la ripresa non si sente. Cleveland, Detroit, Toledo, Milwuakee, Buffalo, Memphis, Cincinnati, otto delle dieci città americane con i dati socio-economici peggiori secondo una ricerca recente dell’Economic Innovation Group, sono ex centri importanti e industriali che non sanno più dove sono – e dove anche Bernie Sanders è forse destinato a fare bene per ragioni uguali e contrarie a quelle di Trump.
Se vogliamo capire da dove venga il fenomeno Donald dobbiamo partire da posti come questi: l’America opulenta e indebitata degli anni 80 divenuta decadente e colpita dalla globalizzazione del commercio mondiale. I numeri strabilianti di TheDonald vengono da qui, dai nostalgici dell’America convinta da Reagan che lo Stato non fosse la soluzione ma il problema, l’America che domina il mondo e vince la Guerra fredda. Make America Great Again, “Fai tornare l’America grande”, lo slogan di Donald, è un richiamo a quegli anni – e in fondo anche a quelli di Clinton, Bill.
Questo articolo continua sul n. 10 di Left in edicola dal 5 marzo