«Una mamma non può fare il sindaco». Allora neppure il magistrato o la giornalista, mestieri che ti entrano nel sangue e non ti levi dalla testa nemmeno quando senti nella pancia una nuova vita e poi quando la riconosci e la accogli. «L’ho detto nel suo interesse, come se stessi parlando a mia moglie». La moglie appunto, quella che mi deve fabbricare, lei, un essere con il mio Dna, proprio il mio, perchè un giorno gli passerò il testimone. Questo è il mondo che viviamo, lo stesso che è emerso durante il dibattito sulle unioni civili. Un mondo che si aggrappa come un’ancora alla famiglia patriarcale, al maschio pilastro della società e alla femmina centro di gravità in famiglia.
Non è solo il mondo di Bertolaso e di Bersusconi, se è vero che fra gli amici a 5Stelle le ragazze magre e telegeniche vanno di moda e a quelle “robustelle” si chiede di fare un passo indietro. Basta saperlo. Basta capire che quando il pianeta intero è in subbuglio, quando si dispiega una grande rivoluzione scientifica, industriale, culturale – ed è questo che sta accadendo – molti uomini hanno paura e si fanno tentare dal salto all’indietro, al tempo in cui i ruoli erano chiari e le norme fissate per diritto divino.
Perchè una ragazza danese sceglie di chiudersi dentro un burka, perchè un giovanotto dei sobborghi parigini, che un tempo sognava donne e motori, ora va ad ammazzare suoi coetani colpevoli di ascoltare musica in un luogo del diavolo com’è un teatro, com’è il Bataclan? Per lo stesso motivo che spinge lor signori a gridare “ordine per Dio”. Forse servirebbe un nuovo femminismo che non parlasse meno di quote, che non si compiacesse del politicamente corretto che nasconde – solo nasconde – la voglia di sopraffare, ma prendesse per mano i maschietti, figli, amanti, amici o mariti per dirgli con dolcezza: quel mondo è finito. Meglio per te.
Se «una mamma non può fare il sindaco», forse serve un nuovo femminismo
La notizia del giorno commentata dal direttore di Left