Potremmo dire “la caduta degli dei”. Inacio Lula da Silva, famiglia povera, penultimo di tanti fratelli, operaio e sindacalista, per otto anni presidente, che ha trascina il Brasile da paese del terzo mondo a leader dei Brics, delle economie emergenti, tra i protagonisti della politica mondiale. Inacio Lula da Silva, accusato di corruzione e riciclaggio nell’inchiesta “Lava Jato”, accetta di tornare al governo per evitare l’arresto.
Oppure potremmo titolare “Colpo di stato giudiziario a Brasilia”. Perché i metodi dei giudici di San Paulo farebbero impallidire quelli che tante volte sono stati contestati al nostro Di Pietro. Lula arrestato sotto iriflettori delle telecamere quando sarebbe bastato interrogarlo e consegnargli l’avviso di garanzia, la presidente in carica Dilma Rousseff intercettata. E quando dice al suo antico maestro, a Lula, “ora hai l’investitura, usala” (per sottrarti alla giustizia ordinaria e farti giudicare dal tribunale dei ministri) un giudice subito la accusa di intralcio alla giustizia. Intanto annulla la nomina a ministro dell’antico presidente.
Il contesto è dei più drammatici, il Brasile per il secondo anno consecutivo è in recessione, meno 3,5 del PIL. Deve ospitare le Olimpiadi ed è arrivato il virus Zika a far da guastafeste. La borghesia pensa che sia gran tempo di liberarsi del Partito dei lavoratori (creazione, anche questa, di Lula), per riportare il Brasile nell’orbita di Wall Street. Le promesse al popolo delle favelas, i rapporti con la Cina (che comprava materie prime e vendeva a basso costo beni di consumo durevoli) si sono mostrati una chimera: con il riaggiustamento dell’economia cinese e il crollo del prezzo delle materie prime, il boom dei Brics si è sgonfiato. Meglio tornare alla svalutazione del lavoro – pensano i borghesi- e alla distribuzione ineguale della ricchezza.
L’accusa di corruzione per l’ex operaio e per l’antica guerrigliera (c’è anche questo nel passato della presidente) arrivano come il cacio sui maccheroni. La società si lacera. Da una parte i giovani del ceto medio che chiedono la destituzione di Dilma i giovani del ceto medio che chiedono a gran voce l’arresto di Lula, dall’altra i seguaci dell’ex presidente, ancora popolare, che gridano al colpo di stato.
Che dire? La corruzione è una piaga che spesso accompagna periodi di crescita veloce e disordinata. Possibile che Dilma e Lula l’abbiano considerata un danno collaterale secondario. Sbagliando. Tuttavia il ritorno all’indietro, al tempo in cui l’intero sud America funzionava da giardino di casa e riserva di caccia dell’imperialismo statunitense, sarebbe una tragedia: per i brasiliani, che non meritano né la corruzione né il ritorno al passato
Lula e il Brasile. La corruzione non è un danno collaterale secondario
Potremmo dire “la caduta degli dei”. Inacio Lula da Silva, famiglia povera, penultimo di tanti fratelli, operaio e sindacalista, per otto anni presidente, che ha trascina il Brasile da paese del terzo mondo a leader dei Brics, delle economie emergenti, tra i protagonisti della politica mondiale. Inacio Lula da Silva, accusato di corruzione e riciclaggio nell’inchiesta “Lava Jato”, accetta di tornare al governo per evitare l’arresto.
Oppure potremmo titolare “Colpo di stato giudiziario a Brasilia”. Perché i metodi dei giudici di San Paulo farebbero impallidire quelli che tante volte sono stati contestati al nostro Di Pietro. Lula arrestato sotto iriflettori delle telecamere quando sarebbe bastato interrogarlo e consegnargli l’avviso di garanzia, la presidente in carica Dilma Rousseff intercettata. E quando dice al suo antico maestro, a Lula, “ora hai l’investitura, usala” (per sottrarti alla giustizia ordinaria e farti giudicare dal tribunale dei ministri) un giudice subito la accusa di intralcio alla giustizia. Intanto annulla la nomina a ministro dell’antico presidente.
Il contesto è dei più drammatici, il Brasile per il secondo anno consecutivo è in recessione, meno 3,5 del PIL. Deve ospitare le Olimpiadi ed è arrivato il virus Zika a far da guastafeste. La borghesia pensa che sia gran tempo di liberarsi del Partito dei lavoratori (creazione, anche questa, di Lula), per riportare il Brasile nell’orbita di Wall Street. Le promesse al popolo delle favelas, i rapporti con la Cina (che comprava materie prime e vendeva a basso costo beni di consumo durevoli) si sono mostrati una chimera: con il riaggiustamento dell’economia cinese e il crollo del prezzo delle materie prime, il boom dei Brics si è sgonfiato. Meglio tornare alla svalutazione del lavoro – pensano i borghesi- e alla distribuzione ineguale della ricchezza.
L’accusa di corruzione per l’ex operaio e per l’antica guerrigliera (c’è anche questo nel passato della presidente) arrivano come il cacio sui maccheroni. La società si lacera. Da una parte i giovani del ceto medio che chiedono la destituzione di Dilma i giovani del ceto medio che chiedono a gran voce l’arresto di Lula, dall’altra i seguaci dell’ex presidente, ancora popolare, che gridano al colpo di stato.
Che dire? La corruzione è una piaga che spesso accompagna periodi di crescita veloce e disordinata. Possibile che Dilma e Lula l’abbiano considerata un danno collaterale secondario. Sbagliando. Tuttavia il ritorno all’indietro, al tempo in cui l’intero sud America funzionava da giardino di casa e riserva di caccia dell’imperialismo statunitense, sarebbe una tragedia: per i brasiliani, che non meritano né la corruzione né il ritorno al passato