La storia dell’influenza dell’islamismo salafita in Europa un giorno andrà fatta. È una storia legata a doppio filo al commercio internazionale di petrolio e riguarda tempi lontani in cui la costruzione di moschee e centri islamici non spaventava nessuno. Prima del terrorismo religioso e prima persino delle paure anti-immigrati che lo hanno preceduto di qualche anno. E risale alla creazione del regno, con uno scatto dopo la crisi petrolifera del 1973, quando la Muslim World League di ispirazione saudita ha aperto uffici e cominciato a finanziare la nascita di moschee in ogni angolo del mondo e la edizione più diffusa del Corano, stampata in milioni di copie, è diventata quella approvata dai religiosi wahabiti di stanza in Arabia Saudita.
L’independent ci ricorda oggi la storia della grande moschea di Bruxelles, una scelta risalente al 1967: si decise di restaurare un 800esco padiglione orientaleggiante un po’ in rovina. In cambio di un contratto petrolifero con l’Arabia Saudita il re del Belgio acconsentì a concederlo in affitto per 99 anni e a farlo gestire da religiosi sauditi. Il costo ricadeva su Riad. La nascita della Grande moschea contribuì, scrive il quotidiano britannico, a cambiare la cultura religiosa di una parte della comunità islamica del Belgio, cresciuta a dismisura negli anni 60 e 70 a causa di una forte immigrazione maghrebina incoraggiata da Bruxelles per riempire le fabbriche del Paese. Il fatto è che la forma prevalente di religiosità in Maghreb era ed è meno tradizionalista e fondamentalista del salafismo insegnato dai clerici sauditi. La loro presenza in Belgio ha plasmato il modo di concepire la religione di qualcuno.
Nei giorni scorsi il reggente della Grande Moschea di Bruxelles, il saudita Jamal Saleh Momenah, è stato più volte intervistato dai media ed ha più volte dichiarato che no, i reclutatori e propagandisti dell’Isis nel suo luogo di culto non entrano. Possibile e probabile. Anche Riad negli ultimi mesi ha scelto di provare a fermare l’influenza potenzialmente pericolosa anche per casa Saud. E comunque nessun imam di moschea centrale può permettersi di ospitare reclutatori di terroristi che di certo i servizi di intelligence locali un occhio sui grandi centri islamici lo tengono. Nel 2012 il reggente dela moschea Khalid Alabri venne rimosso dopo che il governo belga aveva protestato per i suoi sermoni anti-occidente e antisemiti.
Il tema no è quindi un collegamento lineare e diretto tra terrorismo e Paesi del Golfo (anche Qatar ed Emirati sono molto generosi), ma, appunto, la diffusione finanziata a suon di petrodollari, di un certo tipo di islam nelle moschee europee e del mondo.
A dicembre scorso il leader dei socialdemocratici tedeschi e vice-cancelliere Sigmar Gabriel ha criticato Riad dichiarando: il tempo di guardare da un’altra parte è finito, le moschee wahabite vengono finanziate in ogni angolo del mondo dai sauditi e in Germania molti individui pericolosi escono proprio da queste comunità». La dichiarazione veniva in seguito a un rapporto interno che sosteneva che la politica estera di Riad – che passa anche dal finanziamento delle moschee, perché è soprattutto volta all’influenza regionale – si è fatta più aggressiva anche in questa direzione. Per qualche tempo è circolata la voce – smentita dai sauditi – che l’Arabia volesse finanziare la costruzione di 200 moschee per i nuovi arrivati in Europa.
Nei mesi scorsi l’Austria ha approvato una legge che viete il finanziamento della costruzione di moschee da parte di stranieri. Il ministro degli Esteri e dell’integrazione, il giovanissimo conservatore Sebastian Kurz, ha sostenuto che la legge non è punitiva perché in realtà aggiorna una legge asburgica, riconoscendo lo status ufficiale di religione, le tombe islamiche e le feste religiose come vacanze e nega solo il finanziamento. Rispondendo al premier turco Erdogan, Kurz ha detto: basta imam pagati dal governo turco (che evidentemente gareggia con Riad in alcuni Paesi centro europei).
Il governo norvegese, a sua volta, ha negato il finanziamento di una mosche a Tromsø: non accettiamo la costruzione di moschee da parte di un Paese dove non c’è libertà religiosa, hanno detto le autorità di Oslo.
Un vecchio articolo del 2001 di un settimanale vicino a casa Saud dettagliava gli sforzi sauditi in termini economici: Riad ha speso miliardi di dollari per finanziare centinaia di scuole, 1500 moschee, 210 centri islamici. Un dispaccio diffuso da Wikileaks ci racconta di come la propaganda in Pakistan finanziata da Emirati Arabi e Sauditi sia volta a ridurre l’influenza dei clerici sufi e a diffondere il wahabismo. Come altrove, i quartieri e i Paesi poveri sono oggetto di finanziamento: le madrasse e le moschee sono anche centri di servizi che abbinano sostegno e lavoro sociale al proselitismo.
L’influenza passa anche per vie indirette, come la creazione di un fondo da 50 milioni di euro investiti dal Qatar nelle banlieue parigine per creare imprese.
Tutto questo lavorìo per influenzare le popolazioni musulmane d’Occidente, d’Asia e d’Africa non è volto necessariamente a finanziare il terrorismo, sebbene i legami tra Isis, talebani, al Qaeda e almeno qualche importante famiglia regnante del Golfo siano stati apertamente nominati anche da Hillary Clinton ai tempi in cui era Segretario di Stato. Il tema è più generale: per contrastare lo sciismo e altre forme sunnite di islam, i regnanti sauditi hanno speso miliardi di dollari, alla maniera dei sovietici e degli americani che si facevano guerra culturale e fredda a partire dal 1948, per diffondere la loro versione del Corano. Una conseguenza è stata – assieme a molte altre cause complicate e generate in Occidente – la diffusione di una religiosità più conservatrice e assoluta di quanto non fosse prima nelle comunità islamiche in Europa e negli Stati Uniti. Questo regalo lo dobbiamo ai Sauditi e agli altri staterelli del Golfo.