Un patto Stato-‘ndrangheta: si apre così il processo Aemilia. Con le frasi del pentito Giuseppe Giglio, imprenditore imputato e collaboratore di giustizia da poco più di un mese. Referente nelle istituzioni, secondo la Dda, dell’organizzazione criminale riferibile alla cosca cutrese dei Grande Aracri: il consigliere comunale di Fi Giuseppe Pagliani, imputato per concorso esterno. Dichiarazioni che creano molto più scalpore dell’udienza in sé.
In un colloquio del 2012 ricostruito dagli inquirenti e messo a verbale tramite le confessioni di Giglio, il rappresentante della ‘ndrangheta emiliana (per i quali i pm hanno chiesto 20 anni) viene informato da Alfonso Diletto, per i pm uno dei capi del clan, sullo stato degli accordi: «Guarda abbiamo fatto un patto con il politico Pagliani che ci darà del lavoro in regione, provincia e comune. In cambio noi gli dobbiamo trovare dei voti e finanziamenti», oltre ad «un quieto vivere diciamo per il prefetto, perché il prefetto aveva alzato un pò un polverone» con le interdittive antimafia. «Questo – spiega Giglio – era tutto, l’accordo e il patto politico, diciamo, che c’è stato».
Accordo poi non andato in porto a causa del clamore giornalistico che la vicenda stava alzando. Ma l’interlocuzione – e l’intenzione – c’era, a Reggio, così come c’è in Emilia-Romagna.
Non a caso, c’erano il Presidente della Regione Stefano Bonaccini e diversi sindaci costituitisi parte civile, nell’aula bunker costruita ad hoc per ospitare un processo di dimensioni storiche: decine di enti, istituzioni e associazioni costituitesi parte civile, circa mille testimoni, e soprattutto 149 imputati, la metà dei quali emiliani.
Fra questi, per esempio, la famiglia dell’imprenditore Augusto Bianchini, titolare di numerosi appalti nella ricostruzione post terremoto e accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Bianchini avrebbe avuto rapporti costanti con le figure apicali della famiglia. Giglio, ne curava fatturazioni – rigorosamente false, a sua detta, come tutto il colossale giro da lui curato, usato per “oliare”. «Tangenti?», chiede il pm. «Esatto». Chi, ancora non si sa.
Nelle carte, Giglio parla anche del sistema “familiare” (così definito) ‘ndranghetista: gli affiliati, i metodi e perfino del “battesimo” per entrarvi. Parla dei capi, come Diletto, Nicolino Sarcone, Francesco Lamanna, Antonio Gualtieri, Gaetano Blasco e Antonio Valerio, e dei “fratelli” come lo stesso Blasco, l’imprenditore intercettato il 29 maggio 2012 mentre rideva con Antonio Valerio, un altro indagato, del terremoto e sul lucro che avrebbe comportato.
Questo è solo l’inizio. Ma la rilevanza economica e politica della ‘ndrangheta, negli affari emiliani è una realtà che dev’essere ormai acquisita e che questo processo sta scoperchiando. Processo ampiamente preannunciato nelle pagine del dossier Tra la via Amilia al West, redatto dagli storici gruppi antimafia come AdEst di Bologna, lo Zuccherificio di Ravenna o il Gap di Rimini, di cui abbiamo parlato nel numero 10 di Left.
Mentre sul numero in edicola da sabato, uno sfoglio ad ampio raggio sul fenomeno mafioso e le sue diramazioni, dalla Sicilia alla Lombardia, passando per la XXI Giornata di Libera.
Le udienze riguardanti le 70 persone che hanno richiesto il rito abbreviato, si sta ancora celebrando a Bologna. La prossima udienza ordinaria di Reggio Emilia invece, sarà il 20 aprile.