Questo articolo continua sul n. 13 di Left in edicola dal 26 marzo
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[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]Appena saputo delle stragi di Bruxelles, Vauro ha disegnato per Left una colomba che affoga nel mare del sangue. L’avete vista in copertina. La colomba della pace, la colomba ferita delle libertà che Picasso dipinse all’indomani del bombardamento nazista di Guernica, la colomba della Pasqua. Dobbiamo salvarla e curarla quella colomba.
Non possiamo sopportare le nostre città insanguinate da gente che bestemmia dio ammazzando all’ingrosso. Non possiamo permettere che libertà e diritti, ricevuti in dono dai nostri padri e dai loro padri, siano messi in pericolo dalla bestialità di chi aborre la civiltà e vorrebbe riportarci tutti a un tempo lontano in cui gli uomini scorticavano i nemici o li impalavano.
Per prima cosa, nervi saldi: non sopravvalutiamo il nemico. Le cellule dormienti di Bruxelles sono state richiamate in servizio perché la Testa del Serpente non sopportava l’affronto subito da quel Salah, celebrato il 13 novembre come ottavo “martire” ma che invece s’era tolto la cintura e che ora collabora con le polizie occidentali. I capi terroristi hanno paura. Temono di perdere il mito dell’invincibilità, costruito con pazienza dalla loro propaganda: l’idea che chi sceglie di morire non possa essere sconfitto da chi ama la vita. Perciò hanno ordinato agli adepti di farsi saltare in aeroporto e lasciare bombe nella metro.
Non sottovalutiamoli neppure. Un rapporto riservato della polizia francese racconta come le false identità, per i kamikaze del 13 novembre, fossero state costruite con cura estrema, da professionisti. E come la scelta di organizzare l’attentato parigino a Bruxelles tenesse ben conto dei buchi – poi risultati evidenti – nella collaborazione tra le polizie belga e francese.
Decidiamo di condividere, fra tutte le polizie europee, i dati sensibili che riguardano l’Is e i suoi assassini. Le polizie, non gruppi di Rambo né ombre dell’intelligence. E costruire una procura europea, a immagine del pool antimafia, che bracchi in ogni Paese dell’Unione i terroristi islamici.
Non basta: bisogna sfrattarli dai territori che occupano tra Siria e Iraq, da Mosul, Ramadi, Daqqa. Senza mandare scarponi europei nel deserto: non servono. Basta assicurare tutto l’appoggio necessario ai combattenti curdi, a quelli sciiti, alawiti, cristiani e sunniti che rifiutano il califfato, e agli eserciti “ufficiali” di Bagdad e Damasco. È decisivo perché è provato come la trasformazione in kamikaze del delinquente convertito passi sempre per un viaggio iniziatico nelle terre del Daesh. I bombardamenti? Le bombe, per niente chirurgiche, sono servite a mantenere ambiguità e coperture nei confronti della zona grigia del terrore. Finanziatori, ideologi wahabiti e chi combatte i nemici del Daesh.
Rompere con tali connivenze non sarà facile, perché il rapporto privilegiato degli Stati Uniti con la dinastia di Saud dura dai tempi di Roosevelt, e Hollande ha appena insignito un principe di quella dinastia con la Legion d’Onore. La Turchia che bombarda i curdi, poi, fa parte della Nato ed è – lo sappiamo – la porta d’Europa per i profughi. Prezzo alto, ma necessario.
C’è infine una lotta politica, ideale e culturale da condurre. Gridiamo forte che amiamo le libertà, che difenderemo i diritti di ognuno, e manterremo il carattere aperto delle nostre città. Gridiamo che chi ammazza in nome di dio bestemmia dio. Che chi insegna a un bambino come si sgozza un uomo, non è un uomo. Che chi distrugge una città d’arte è una bestia.
Questo articolo continua sul n. 13 di Left in edicola dal 26 marzo