Dopo la pubblicazione su Wikileaks delle note dell’ambasciata americana a Roma sugli ambigui rapporti tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin indirizzate al dipartimento di Stato, nel 2010 Giuseppe Oddo e Andrea Greco scrissero una serie di articoli per i rispettivi giornali, Il Sole 24 Ore e per Repubblica, sulle attività dell’Eni in Kazakistan e in Russia. Furono i primi a denunciare i retroscena dell’affare Mentasti, ovvero «il tentativo dell’ex industriale dell’acqua minerale San Pellegrino, Bruno Mentasti Granelli (prestanome di Berlusconi in Telepiù), di inserirsi nella vendita e nella distribuzione di gas in Italia in compartecipazione con Gazprom. La notizia ci era apparsa quasi surreale - ricorda Oddo -.Mentasti non aveva alcuna competenza nel gas, dove operano a monte i colossi dell’energia e a valle le grandi società di distribuzione». Cosa portava a un gigante come Gazprom, che detiene le più grandi riserve mondiali di metano ed è una sorta di braccio armato del Cremlino nell’energia? «Il fatto che Mentasti fosse una pedina di Berlusconi divenne certezza quando si seppe dei retroscena dell’accordo con i russi e delle pressioni subite dal vertice dell’Eni per accelerarne la conclusione».
Da lì nacque l'idea del libro inchiesta Lo Stato parallelo che fu subito accettato da Lorenzo Fazio fondatore e direttore di Chiarelettere che ora manda in libreria questo saggio che ricostruisce la storia dell'Eni illuminando molte pagine fin qui ancora buie. La base del lavoro dei due giornalisti è stata la raccolta di fonti orali, lo studio di centinaia di documenti, di atti, non limitandosi alla saggistica e a quanto era già uscito sui media. «Quando telefonai a Greco per coinvolgerlo in questa avventura lui stava completando con Peppino D’Avanzo e Federico Rampini un’inchiesta sugli affari tra Berlusconi e Putin, di cui La Repubblica stava per dare alle stampe la terza ed ultima puntata. D’Avanzo, poi scomparso, e al quale dedichiamo il libro, ci spronò a realizzare una grande inchiesta sull’Eni dei tempi moderni». Era solo l'inizio.
«Da lì in poi abbiamo pedalato in salita per cinque anni, recuperando documenti, atti, bilanci, testimonianze. Abbiamo intervistato quasi tutti i protagonisti di questa storia, molti dei quali sotto vincolo di riservatezza. Abbiamo raccolto decine di ore di registrazione». Da cui emerge una puntuale ricostruzione delle vicende dell’Eni degli ultimi venticinque anni, fin dall'inizio pensata da Enrico Mattei come un ente che operava largamente in maniera autonoma La congiuntura allora era quella di un'Italia uscita a paezzi dalla guerra e sostanzialmente subalterna agli Stati Uniti. Ma ben presto, scrivono i due autori, L'Eni prese la forma di uno Stato nello Stato che operava anche in maniera autonoma rispetto agli indirizzi dati dalla Farnesina, «arrivando poi nel grande gioco del petrolio a dispensare tangenti e a tenere rapporti anche con personaggi impresentabili della P2».
«Dei quattro amministratori delegati che sono stati alla guida del gruppo dalla sua trasformazione in Spa - dichiara Oddo - solo uno non ha accettato di rispondere alle nostre domande, Paolo Scaroni. E hanno lasciato cadere la richiesta di un confronto anche Licio Gelli e l’ex ambasciatore libico a Roma Hafed Gaddur. Al primo avremmo voluto chiedere dei suoi incontri con Eugenio Cefis, succeduto a Enrico Mattei alla presidenza dell’Eni, al secondo dei suoi rapporti con il potere libico e del comitato d’affari che si riuniva a Salisburgo su iniziativa di Saif al-Islam Gheddafi».
Il filo conduttore del libro è l’Eni "come Stato", come pilastro della politica energetica di un Paese povero di petrolio, «ma dotato di un’industria manifatturiera tra le più importanti d’Europa, promotore di una politica estera in contrasto con gli interessi anglo-americani, volta a ottenere l’accesso alle fonti di idrocarburi, strumento di finanziamento occulto dei partiti - ricostruisce Oddo - durante tutta la prima repubblica, al centro dei più gravi scandali nazionali, da quello dei petroli all’Eni-Petromin, dal crack dell’Ambrosiano a Mani pulite, dalla P2 alla P4».
Un punto cruciale della vicenda è il 1992, con la trasformazione in società per azioni degli enti a partecipazione statale e con l’avvio di Mani pulite. «Per l’Eni fu l’anno della svolta, con la ritirata dei partiti e dello Stato (che dopo la quotazione in Borsa del gruppo scende al 30%), con il ricambio del management, la dismissione delle attività non petrolifere, il ritorno alla ricerca, all’esplorazione e alla produzione di petrolio e gas. Questa fase si è protratta fino al 2005, prima con Franco Bernabè poi con Vittorio Mincato alla guida. È il periodo dell’espansione in Africa, Medio Oriente, Asia centrale, della crescita per acquisizioni, della conquista dell'operatorship del giacimento supergigante di Kashagan nell’offhsore kazako del Mar Caspio, del gasdotto tra Russia e Turchia, del metanodotto tra Libia e Sicilia».
Poi, nel 2005, sostengono Oddo e Greco, con Scaroni amministratore delegato, si aprì una fase nuova con i prezzi del petrolio in forte crescita e l’Eni trasformata in cassaforte dello Stato a cui versa dividendi miliardari in parte sottratti agli investimenti. «La grande fusione immaginata da Mincato, per fare della compagnia un colosso da oltre 2 milioni di barili equivalenti di greggio al giorno, finisce nel cassetto. E oggi, con il petrolio crollato a 30 dollari, il gruppo è costretto a battere in ritirata da petrolchimica e raffinazione e a cedere allo Stato parte del controllo di Saipem per far fronte ai quasi 9 miliardi di perdite contabilizzati nel 2015».
Nel libro Lo Stato parallelo (Chiarelettere) Giuseppe Oddo de Il Sole 24 Ore e Andrea Greco di Repubblica hanno ricostruito tutta la storia dell'Eni illuminando molte pagine controverse. Inchiesta non facile, la loro che ha incontrato ostacoli, reticenze, resistenze di ogni tipo. Perché la verità che emerge è una verità scomoda: L’Eni è un colosso industriale controllato dallo Stato, che ha agito come uno Stato nello Stato. Se l'idea di Enrico Mattei di assicurarsi l’accesso alle fonti di energia dando vita a una sorta di Stato parallelo nasceva nel contesto di un'Italia uscita a pezzi dalla guerra e, di fatto a sovranità limitata, poi lo scenario è diventato ben altro. «Siccome il petrolio si è sempre incrociato con il commercio delle armi e con la criminalità organizzata, tutti i grandi Stati, sia per ragioni difensive e offensive, sia per capire le implicazioni di certe transazioni, hanno sempre interferito», dice l' ex ministro Psi Rino Formica in una dischiarazione che i due autori pubblicano ad esergo del libro. Accanto ad una dichiarazione di un dirigente dell'Eni che vuole restare anonimo: «Qualche tempo fa la P4 la incontravi nei corridoi di San Donato. Ora che l’abbiamo cacciata siamo un’Eni più libera, ma anche più indifesa».
Dopo la pubblicazione su Wikileaks delle note dell’ambasciata americana a Roma sugli ambigui rapporti tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin indirizzate al dipartimento di Stato, nel 2010 Giuseppe Oddo e Andrea Greco scrissero una serie di articoli per i rispettivi giornali, Il Sole 24 Ore e per Repubblica, sulle attività dell’Eni in Kazakistan e in Russia. Furono i primi a denunciare i retroscena dell’affare Mentasti, ovvero «il tentativo dell’ex industriale dell’acqua minerale San Pellegrino, Bruno Mentasti Granelli (prestanome di Berlusconi in Telepiù), di inserirsi nella vendita e nella distribuzione di gas in Italia in compartecipazione con Gazprom. La notizia ci era apparsa quasi surreale – ricorda Oddo -.Mentasti non aveva alcuna competenza nel gas, dove operano a monte i colossi dell’energia e a valle le grandi società di distribuzione». Cosa portava a un gigante come Gazprom, che detiene le più grandi riserve mondiali di metano ed è una sorta di braccio armato del Cremlino nell’energia? «Il fatto che Mentasti fosse una pedina di Berlusconi divenne certezza quando si seppe dei retroscena dell’accordo con i russi e delle pressioni subite dal vertice dell’Eni per accelerarne la conclusione».
Da lì nacque l’idea del libro inchiesta Lo Stato parallelo che fu subito accettato da Lorenzo Fazio fondatore e direttore di Chiarelettere che ora manda in libreria questo saggio che ricostruisce la storia dell’Eni illuminando molte pagine fin qui ancora buie. La base del lavoro dei due giornalisti è stata la raccolta di fonti orali, lo studio di centinaia di documenti, di atti, non limitandosi alla saggistica e a quanto era già uscito sui media. «Quando telefonai a Greco per coinvolgerlo in questa avventura lui stava completando con Peppino D’Avanzo e Federico Rampini un’inchiesta sugli affari tra Berlusconi e Putin, di cui La Repubblica stava per dare alle stampe la terza ed ultima puntata. D’Avanzo, poi scomparso, e al quale dedichiamo il libro, ci spronò a realizzare una grande inchiesta sull’Eni dei tempi moderni». Era solo l’inizio.
«Da lì in poi abbiamo pedalato in salita per cinque anni, recuperando documenti, atti, bilanci, testimonianze. Abbiamo intervistato quasi tutti i protagonisti di questa storia, molti dei quali sotto vincolo di riservatezza. Abbiamo raccolto decine di ore di registrazione». Da cui emerge una puntuale ricostruzione delle vicende dell’Eni degli ultimi venticinque anni, fin dall’inizio pensata da Enrico Mattei come un ente che operava largamente in maniera autonoma La congiuntura allora era quella di un’Italia uscita a paezzi dalla guerra e sostanzialmente subalterna agli Stati Uniti. Ma ben presto, scrivono i due autori, L’Eni prese la forma di uno Stato nello Stato che operava anche in maniera autonoma rispetto agli indirizzi dati dalla Farnesina, «arrivando poi nel grande gioco del petrolio a dispensare tangenti e a tenere rapporti anche con personaggi impresentabili della P2».
«Dei quattro amministratori delegati che sono stati alla guida del gruppo dalla sua trasformazione in Spa – dichiara Oddo – solo uno non ha accettato di rispondere alle nostre domande, Paolo Scaroni. E hanno lasciato cadere la richiesta di un confronto anche Licio Gelli e l’ex ambasciatore libico a Roma Hafed Gaddur. Al primo avremmo voluto chiedere dei suoi incontri con Eugenio Cefis, succeduto a Enrico Mattei alla presidenza dell’Eni, al secondo dei suoi rapporti con il potere libico e del comitato d’affari che si riuniva a Salisburgo su iniziativa di Saif al-Islam Gheddafi».
Il filo conduttore del libro è l’Eni “come Stato”, come pilastro della politica energetica di un Paese povero di petrolio, «ma dotato di un’industria manifatturiera tra le più importanti d’Europa, promotore di una politica estera in contrasto con gli interessi anglo-americani, volta a ottenere l’accesso alle fonti di idrocarburi, strumento di finanziamento occulto dei partiti – ricostruisce Oddo – durante tutta la prima repubblica, al centro dei più gravi scandali nazionali, da quello dei petroli all’Eni-Petromin, dal crack dell’Ambrosiano a Mani pulite, dalla P2 alla P4».
Un punto cruciale della vicenda è il 1992, con la trasformazione in società per azioni degli enti a partecipazione statale e con l’avvio di Mani pulite. «Per l’Eni fu l’anno della svolta, con la ritirata dei partiti e dello Stato (che dopo la quotazione in Borsa del gruppo scende al 30%), con il ricambio del management, la dismissione delle attività non petrolifere, il ritorno alla ricerca, all’esplorazione e alla produzione di petrolio e gas. Questa fase si è protratta fino al 2005, prima con Franco Bernabè poi con Vittorio Mincato alla guida. È il periodo dell’espansione in Africa, Medio Oriente, Asia centrale, della crescita per acquisizioni, della conquista dell’operatorship del giacimento supergigante di Kashagan nell’offhsore kazako del Mar Caspio, del gasdotto tra Russia e Turchia, del metanodotto tra Libia e Sicilia».
Poi, nel 2005, sostengono Oddo e Greco, con Scaroni amministratore delegato, si aprì una fase nuova con i prezzi del petrolio in forte crescita e l’Eni trasformata in cassaforte dello Stato a cui versa dividendi miliardari in parte sottratti agli investimenti. «La grande fusione immaginata da Mincato, per fare della compagnia un colosso da oltre 2 milioni di barili equivalenti di greggio al giorno, finisce nel cassetto. E oggi, con il petrolio crollato a 30 dollari, il gruppo è costretto a battere in ritirata da petrolchimica e raffinazione e a cedere allo Stato parte del controllo di Saipem per far fronte ai quasi 9 miliardi di perdite contabilizzati nel 2015».
Nel libro Lo Stato parallelo (Chiarelettere) Giuseppe Oddo de Il Sole 24 Ore e Andrea Greco di Repubblica hanno ricostruito tutta la storia dell’Eni illuminando molte pagine controverse. Inchiesta non facile, la loro che ha incontrato ostacoli, reticenze, resistenze di ogni tipo. Perché la verità che emerge è una verità scomoda: L’Eni è un colosso industriale controllato dallo Stato, che ha agito come uno Stato nello Stato. Se l’idea di Enrico Mattei di assicurarsi l’accesso alle fonti di energia dando vita a una sorta di Stato parallelo nasceva nel contesto di un’Italia uscita a pezzi dalla guerra e, di fatto a sovranità limitata, poi lo scenario è diventato ben altro. «Siccome il petrolio si è sempre incrociato con il commercio delle armi e con la criminalità organizzata, tutti i grandi Stati, sia per ragioni difensive e offensive, sia per capire le implicazioni di certe transazioni, hanno sempre interferito», dice l’ ex ministro Psi Rino Formica in una dischiarazione che i due autori pubblicano ad esergo del libro. Accanto ad una dichiarazione di un dirigente dell’Eni che vuole restare anonimo: «Qualche tempo fa la P4 la incontravi nei corridoi di San Donato. Ora che l’abbiamo cacciata siamo un’Eni più libera, ma anche più indifesa».