Qualche giorno fa, sul suo canale YouTube il Partito Democratico ha caricato un video dedicato al referendum sulle trivellazioni che si terrà il 17 aprile. Prendetevi qualche minuto e guardatelo. Poi leggete.
Il video, rimasto per lo più inosservato (conta poco più di 5 mila visualizzazioni) è uno spot per convincere i sostenitori Pd, proprio quando la sinistra (e non solo) si schiera tutta dal lato opposto, a votare No al referendum o ad astenersi, impedendo di raggiungere il quorum. La strategia comunicativa è piuttosto semplice: una carrellata di volti di tecnici e operai, in qualche caso sinceramente preoccupati per il proprio posto di lavoro, prestano accorati la loro voce alle ragioni del no o dell’astensione (ovvero la posizione assunta dal Pd di Matteo Renzi, anche se in teoria a decidere dovrebbe essere la direzione del 4 aprile). Il problema è che lo fanno spesso senza avere informazioni corrette sul tema. Abbiamo quindi messo in fila dubbi e domande e risposto alle questioni sollevate dai lavoratori del video.
MARCO. ISTRUTTORE CENTRO FORMAZIONE
«Se vincesse il sì sarebbe una batosta per migliaia di famiglie che fanno girare parzialmente una nazione in difficoltà»
Caro Marco, le piattaforme petrolifere oggetto del referendum sono solo quelle entro le 12 miglia e nessuno intende chiuderle da un giorno all’altro. La stragrande maggioranza delle 92 piattaforme oggetto della consultazione non chiuderà a breve: qualcuna era già a fine vita e tante altre hanno già beneficiato della proroga resa possibile dal governo a fine 2015.
Se vince il sì accade che l’impianto dovrà essere dismesso soltanto alla scadenza della concessione, di regola trentennale, quindi c’è tutto il tempo per ricollocare gli operai e per il governo di dirottare gli incentivi alle fossili su investimenti in efficienza e fonti rinnovabili.
GRAZIANO. INGEGNERE
«Da tecnico posso dire che le preoccupazioni sull’impatto ambientale sono infondate»
Caro Graziano, su questo punto ti sottoponiamo alcune riflessioni.
L’attività estrattiva di petrolio e gas comporta l’utilizzo di sostanze chimiche e il rischio di rilascio in mare di queste ultime ma anche di greggio, metalli pesanti e altri contaminanti. A questo si aggiunge l’impatto sulla pesca e sull’ecosistema della tecnica dell’airgun, esplosioni prodotte da iniezioni di aria compressa per individuare i giacimenti. Il nostro mare, poi, in particolare l’alto Adriatico, ha già sperimentato le conseguenze della cosiddetta subsidenza, l’abbassamento della superficie topografica del suolo costiero dovuto anche all’estrazione di gas. Questo per non parlare dei pericoli derivanti da eventuali incidenti in un mare chiuso come il Mediterraneo (ti ricordo soltanto che la Deepwater Horizon che ha devastato il Golfo del Messico era a 66 miglia dalla costa). Ed evito di soffermarmi sul contributo dell’estrazione di idrocarburi al surriscaldamento del Pianeta.
MARIO. SUPERVISIONE MONTAGGI PIATTAFORME
«Ho sentito dire che le cozze sarebbero inquinate. Io sono 55 anni che mangio cozze e sono qua tranquillo e beato che le mangio ancora»
Non può che farci piacere Mario, ma registriamo il fatto che – secondo i dati raccolti da Ispra per Eni e recuperati da Greenpeace presso il ministero dell’Ambiente – le analisi sui campioni di cozze raccolti nei pressi delle piattaforme nostrane mostrano che circa l’86% del totale preso in esame (una trentina di impianti) superava il limite di concentrazione di mercurio. Questo non vuol dire che le cozze sono avvelenate, ma come saprai il problema sono i rischi legati all’accumulo nel nostro organismo di metalli pesanti. Come dice il saggio? Prevenire è meglio che curare!
ETTORE. DIRETTORE COMMESSE
«Il turismo si è sviluppato nella nostra zona senza avere alcun tipo di problema legato alla presenza delle piattaforme»
Il turismo non ha problemi finché il mare è pulito, gentile Ettore. Pensi che cosa accadrebbe se ci fosse una fuoriuscita di greggio in un bacino, quello del Mare Nostrum, che ospita il 20% della biodiversità marina globale e molte aree protette.
DAVIDE. MANOVRATORE DI GRU
«Anzi, c’erano delle navi che facevano dei giri attorno alle piattaforme per portare i turisti, per farle vedere».
“De gustibus…” verrebbe da dire, Davide. Personalmente preferisco vedere i fondali senza l’intralcio dell’acciaio dei piloni e mi sento più sicuro senza avere nei paraggi un colosso che pompa gas e petrolio.
MARCO. ISTRUTTORE CENTRO FORMAZIONE
«Prevalentemente si estraggono gas, metano, comunque energia pulita».
Non è proprio così. Le parole “gas” e “metano” non possono essere sinonimo di energia pulita.
GRAZIANO. INGEGNERE
«Al gas metano non possiamo rinunciare e comunque non dà controindicazioni».
Questa delle controindicazioni, Graziano, da un ingegnere non ce l’aspettavamo. Estraendo gas si riduce la pressione nelle riserve sotterranee provocando la subsidenza. Estrazione e trasporto non sono a impatto zero e anche se il gas naturale è quella a minore contenuto di carbonio tra le fonti fossili, la sua combustione produce anidride carbonica e altri gas serra. Ti ricorda qualcosa se ti diciamo accordi sul clima di Parigi?
MARCO. ISTRUTTORE CENTRO FORMAZIONE
«Per non parlare dell’assurdità che altre compagnie e altre nazioni verrebbero a fare vicino a casa nostra quello che possiamo fare noi»
In realtà il governo di centrosinistra della Croazia ha già detto no a nuove trivellazioni e il Montenegro è a un passo dal farlo. E in ogni caso, è preferibile dare il buon esempio e non fare danni a se stessi e al pianeta anche se altri decidono di comportarsi diversamente. Soprattutto quando ci sono a disposizione alternative migliori.
STEFANO. MAGAZZINIERE
«La soluzione migliore sarebbe farle andare avanti. Non servirebbe a niente chiudere le piattaforme»
Stefano, in realtà siamo l’unico Paese che fa andare avanti le estrazioni petrolifere “ad libitum” (peraltro pagando royalty irrisorie e spesso senza neanche pagarle dati i quantitativi minimi estratti). Lo ha permesso il governo con l’ultima legge di Stabilità andando contro le regole europee per le quali ogni concessione pubblica è soggetta a scadenza. Chiudere le piattaforme a tempo debito (e non certo il 18 aprile!) servirebbe a costringere la politica a spostare altrove le sue attenzioni e, ripeto, a dirottare sussidi e incentivi verso energie pulite ed efficienza energetica.
BARBARA: CONTROLLO QUALITÀ
«Sono preoccupata per il mio posto di lavoro, visto che ho una famiglia e ho dei figli».
Barbara, comprendiamo la preoccupazione ma non c’è alcun rischio immediato. Le piattaforme, se vince il sì, saranno chiuse soltanto a scadenza della concessione e il governo dovrà farsi carico di garantire intanto nuovi posti di lavoro legati alle ecoenergie e all’efficienza. Se voti sì, magari i tuoi figli da grandi faranno il controllo qualità in un impianto eolico offshore e ti saranno grati per aver superato le tue paure accogliendo al visione di un mondo che per tante valide ragioni smette pian piano di estrarre idrocarburi.
ALESSANDRO. TECNICO IPERBARICO
«Se dovesse passare questo referendum è a rischio il mio lavoro e anche il mare»
Caro Alessandro, sul lavoro ho già risposto a Barbara ma aggiungo che il trend globale è di aumento dell’occupazione delle rinnovabili (anche in Italia dove il governo le mortifica) e riduzione nel settore degli idrocarburi. Quanto al rischio per il mare, gli esperti del settore e la cronologia degli incidenti avvenuti finora confermano che il vero rischio è tenerle in funzione le piattaforme.