Manca un mese al fatidico 2 maggio, ultimo giorno utile per il socialista Pedro Sánchez. Entro quella data dovrà tornare davanti al parlamento spagnolo per chiedere la fiducia al suo governo. Ma le trattative sono ancora in alto mare, o almeno lo sono quelle con Podemos. Le cose si son messe male dopo l’intesa raggiunta tra il Psoe e i populisti di Ciudadanos – «L’accordo tra Sanchez e Rivera non è compatibile con noi», aveva avvertito Podemos ber bocca di Íñigo Errejón. E adesso Sánchez può contare solo sul suo partito (il Psoe) e Ciudadanos: in tutto 131 deputati. Ma ne servono 176. E con la fine del regno popolare di Mariano Rajoy – e il suo governo di cinque anni proBruxelles – in Spagna si è aperta la possibilità di un governo del cambiamento. Un’ipotesi molto attesa in Europa – dopo le vittorie dei dissidenti Alexis Tsipras in Grecia e Antonio Costa in Portogallo – ma niente affatto facile, ci ha spiegato Jorge Moruno, sociologo di 33 anni e spin doctor di Podemos. «Sanchez non potrà contare su di noi se stringe un accordo con Ciudadanos, perché quell’accordo è come se includesse il Partito popolare», dice a Left il braccio destro di Pablo Iglesias: «Gli accordi si fanno sulla base dei contenuti non possiamo chiudere un accordo con le destre».
Tra voi e il governo del cambiamento in Spagna, quindi, c’è di mezzo Ciudadanos?
Sai che il signor Sánchez durante la campagna elettorale ripeteva che Ciudadanos era la nuova generazione del Partito popolare? E adesso dice che non è così. L’accordo con Rivera non mette in discussione le politiche che ci hanno portati fin qui. Sánchez dice di voler combattere il Partito popolare però “cammina” sulle stesse politiche; per esempio, sulla politica fiscale continua a fare riferimento ai think thank del Partito popolare. Se non contestiamo queste politiche, che hanno impoverito la società e la democrazia spagnole, non cambieremo niente. Possiamo andare al governo, persino trovare un modo per cambiare la legge elettorale, ma non avremo ottenuto nulla. Ecco perché è difficile trovare un accordo con loro, perché hanno una politica totalmente opposta alla nostra.
È una posizione unitaria o c’è una spaccatura in Podemos?
Molti mezzi di comunicazione semplificano e banalizzano quanto accade dentro Podemos. Raccontano che in Podemos ci sono i radicali e i moderati, che i moderati vogliono stringere l’accordo con i socialisti mentre i radicali no. Ma non è così, dentro Podemos non vi è alcuna divisione di questo tipo, non ci sono correnti moderate né radicali. Semplicemente, c’è un dibattito democratico com’è normale che sia all’interno di un partito. Ma tutti pensiamo che ci sia bisogno di un governo del cambiamento, che cominci a democratizzare la società.
Per qualcuno con il vostro No date ai Popolari l’occasione di riorganizzarsi.
Il Partito popolare è molto chiuso. Sicuramente, anche al loro interno, ci sono divergenze però, a differenza nostra, non sono pubbliche. Qualcuno chiede la testa di Rajoy, ma credo che Rajoy tenga duro. Non so se si stia preparando un’operazione Monti… ma se crediamo che il problema sia Rajoy sbagliamo, il problema sono le politiche adottate da Rajoy che passano da Bruxelles.
Questo articolo continua sul n. 14 di Left in edicola dal 2 aprile