È un monumentale affresco della storia di Roma quello che l‘artista sudafricano William Kentridge sta realizzando sul lungotevere. Sul muraglione destro del Tevere tra Ponte Mazzini e Ponte Sisto sta prendendo forma una narrazione per immagini popolata da figure e simboli mutuati dalla colonna Traiana, dai trionfi di Mantegna, ma anche dalle pitture nere di Goya. Con il titolo Triumphs and Laments, quest’opera site specific che sarà inaugurata il 21 aprile per il Natale di Roma, è dedicata non solo a personaggi famosi ma anche e soprattutto alle tante persone comuni che nella Storia spesso non hanno voce.
«Ogni trionfo ha sempre portato con sé anche dolore, perdite, lesioni», dice l’artista che nel suo Paese ha lottato contro l’apartheid anche utilizzando il linguaggio delle arti visive. Arriva così a compimento l’intervento di street art promosso da Tevereterno Onlus (fondata dall’architetto Luca Zevi) di cui si parla da lungo tempo ma che ha avuto continui stop and go negli ultimi dieci anni. Colpisce l’aspetto grandioso e insieme effimero dell’opera che, secondo i calcoli del suo autore sparirà nell’arco di sei o sette anni, il tempo che ci metterà lo smog a ricoprire le figure realizzate con la tecnica dello stencil ma senza senza usare vernici, con il solo uso di una idropulitrice con cui Kentridge fa emergere le sue figure dalla patina accumulatasi negli anni sul travertino bianco. Sono figure – in tutto circa ottanta – in larga parte recuperate dalla storia del Novecento evocando pagine leggere di storia romana come la stagione della Dolce vita, ma anche pagine buie come la morte della studentessa Giorgiana Masi che nel 1977 fu uccisa durante una pacifica manifestazione dei Radicali proprio a Ponte Sisto e l’assassinio di Aldo Moro compiuto dalle Brigate Rosse.
Quando da giovane allievo della scuola d’arte a Johannesburg, William Kentridge si trovò alle prese con pennelli, colori ad olio e cavalletto, pensò che fare il pittore non faceva per lui. Ma poi scoprì il disegno come modo originario e immediato di espressione. «Il disegno è pre verbale, istantaneo, irriflesso» dice lui stesso, spiegando che «l’immediatezza di pensare per disegni è fondamentale per me». Così come è centrale nella sua arte il legame con la cultura sudafricana. Anche per la sua economicità, il disegno ha sempre conosciuto una lunga tradizione artistica e popolare anche nei quartieri più poveri, usato come contro canto alla storia ufficiale analogamente a come i neri americani hanno sempre utilizzato la musica rap e il suo fiume di parole. Kentridge sperimenta a tutto raggio le potenzialità e la flessibilità del disegno : dalla puntasecca al carboncino a cui ricorre per portare lo spettatore in un universo sfumato ed evocativo di storie sognate. Usando la pratica della cancellatura, come modo per rigenerare continuamente l’opera. Strumento agile, cangiante, monocromatico (come esigeva fin dagli esordi la sua raffinata estetica) il disegno è alla base dell’affascinante serie di opere grafiche con cui da anni racconta la storia mai scritta dei neri. Un metodo di lavoro che in qualche modo riguarda anche questo intervento di Street art nella Capitale, la città che un paio di anni fa ha ospitato, al MAXXI, una retrospettiva del suo più che trentennale lavoro nel mondo dell’arte.