Noi che non ci siamo mai interessati al mondo dei motori non lo sappiamo, ma «c’era un tempo in cui le macchine, prive delle componenti elettroniche che ora le trasformano in perfetti prototipi d’avanguardia, erano strumenti artigianali estremamente complessi e quelli che avevano la capacità e il coraggio di guidarle potevano essere considerati dei veri e propri eroi». A parlare è Matteo Rovere, il giovane regista di Veloce come il vento dal 7 aprile al cinema, e, se dovessimo usare un aggettivo per raccontare il mondo riportato in vita nel suo ultimo film, sarebbe decisamente: “epico”. La trama è questa: Giulia De Martino, una ragazza di 17 anni – interpretata dalla rivelazione Matilda De Angelis – pilota talentuosa, perde all’improvviso il padre che aveva scommesso la casa e tutto ciò che possedeva su di lei sperano vincesse il campionato gran turismo. Al funerale, dopo anni passati lontani da casa fa la sua comparsa il fratello Loris, tossicodipendente ex campione prodigio interpretato da Stefano Accorsi. La storia raccontata in Veloce come il vento inizia, fra i rombi dei motori di Porsche, Ferrari e Lamborghini messe in fila per il corteo funebre, e il dolore per una perdita che rimette in gioco le vite di due fratelli, mescolando in maniera magistrale il film d’azione al dramma familiare.
Qual è stata per te Matteo la leva di forza che ti ha fatto pensare: “questa storia deve assolutamente diventare un film”?
Mi interessava l’idea di girare un vero e proprio action movie. In Italia è un genere che è stato sperimentato molto poco. La leva principale che mi ha spinto a farlo è stata soprattutto dovuta alla voglia di vedere quale sarebbe stato il risultato se al cuore pulsante del mondo delle corse e del motor sport italiano avessimo aggiunto l’idea di mettere alla guida una ragazza che deve vincere una sfida fondamentale per la sua vita e che per farlo si affida al fratello, ex pilota di successo diventato tossicodipendente.
Veloce come il vento è anche in parte un omaggio alla vita del campione di rally Carlo Capone. Nella sua biografia, quando Capone vince a sorpresa nel 1984 il titolo europeo, si legge: potrebbe essere l’inizio di una storia densa di successi e soddisfazioni, ma qualcosa cambia drasticamente e drammatica- mente il destino dello sfortunato pilota. Il risultato è Loris. Un vincente che si trasforma nel suo esatto opposto: un tossico, un emarginato, uno che dalla società è catalogato come perdente.
Racconto personaggi irregolari. Protagonisti che uniscono a un grandissimo talento la difficoltà di gestirlo. L’altra cosa che mi ha colpito di questa vicenda e che ho voluto trasmettere nei miei personaggi è quella volontà, tipica del mondo delle corse d’auto, di portare tutto al limite. Un limite che però come nel caso di Loris – e di Carlo Capone nelle cronache sportive – cede all’improvviso, una sorta di ingranaggio emotivo che in un attimo, e d’improvviso, si rompe. È così che quella forza, quella capacità di mantenere l’equilibrio sfrecciando sul crinale, diventa all’improvviso una debolezza. Un vero e proprio tallone d’Achille pronto a trasformare il protagonista nel suo opposto. Il pilota, che per definizione è un atleta dai riflessi velocissimi, a causa della droga si addormenta, perde quello smalto indispensabile per un campione e si riduce ad essere meno di un uomo come tanti. Loris De Martino però non è semplicemente un omaggio a Carlo Capone è anche il pretesto per raccontare un altro pezzo della storia che conosciamo, cosa accade dopo aver subito questa disfatta personale.
Nel film però a Loris è offerta una seconda possibilità, può cercare, come si dice in gergo, di “tagliare la curva”, e guadagnare almeno qualche metro di distanza dal suo destino, tagliando a modo suo un altro traguardo.
La cosa principale di questo personaggio è il suo non cercare una redenzione. Siamo riusciti a raccontare soprattutto un personaggio che ha fatto pace con il suo lato oscuro, con quel che è diventato, ma che, nonostante tutto, decide di combattere la sua battaglia e prendersi coscientemente un’ occasione di riscatto per riconquistare la fiducia della sorella che rappresenta tutto quello che gli rimane di buono al mondo. Potremmo definirla “poetica delle seconde possibilità”.
Nell’immagine in evidenza: Stefano Accorsi e Matilda De Angelis, in una scena del film Veloce come il vento, prodotto da Domenico Procacci e Rai Cinema
Questo articolo continua sul n. 15 di Left in edicola dal 9 aprile