I britannici residenti all'estero fanno ricorso all'Alta Corte contro una regola che impedisce loro di votare al referendum sulla Brexit. La decisione è attesa entro la terza settimana di aprile

C’è una legge in Gran Bretagna per cui i cittadini che non risiedono nel Paese da più di 15 anni non sono più ammessi al voto. Perciò, i 2,2 milioni di britannici che vivono e lavorano nel resto d’Europa (quasi la metà dei 5 milioni di britannici all’estero) non potrà partecipare al referendum che pone la domanda sull’uscita del Regno di Sua Maestà Britannica dall’Ue che si terrà il 23 giugno. Per questo un gruppo di espatriati britannici ha deciso di fare ricorso all’Alta Corte anglosassone. Se i giudici supremi decidessero di ammettere al voto questi cittadini, i loro nomi andrebbero aggiunti al registro degli elettori. E il referendum potrebbe essere rinviato. Il risultato è atteso per la terza settimana di aprile.

Harry Shindler
Il veterano Harry Shindler

«I nostri clienti vengono penalizzati per aver esercitato il loro diritto Ue alla libera circolazione», rende noto in un comunicato stampa l’avvocato Richard Stein. Escludere queste persone dal voto, secondo gli avvocati, è illegale perché viola i diritti sanciti dall’Unione europea. Del resto, uscire o no dall’Unione è una decisione che influenza non poco la vita dei britannici nel resto d’Europa, si pensi all’assistenza sanitaria e alle pensioni, per esempio.
Al momento, i giudici supremi hanno accolto il ricorso dello studio legale londinese Leigh Day. Del gruppo di promotori fa parte anche un veterano di guerra di 94 anni: Harry Shindler, che oggi vive in Italia, non è nuovo all’argomento. Contro la legge in questione ha già presentato una petizione alla Corte europea per i diritti umani (Cedu): «È assolutamente antidemocratico», ha tuonato il veterano dalle colonne del Telegraph: «Quando l’Ue è stata istituita ci hanno detto che potevamo andare a vivere ovunque volevamo e a lavorare in tutta Europa. Nessuno ci aveva detto che avremmo anche perso il diritto di votare».

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Il primo ministro David Cameron

La legge contestata – la “regola dei 15 anni” – è stata approvata durante il governo laburista di Tony Blair. E non a caso i Conservatori, nel programma del 2015, avevano preso l’impegno di liberarsene. Ma la promessa proposta di legge di un voto a vita, nonostante le pressioni degli attivisti, non si è mai materializzata. Intanto Cameron fa arrabbiare anche i suoi compagni di partito, spendendo 12 milioni in brochures anti-Brexit. E, sulla questione, non intende certo fare passi indietro: «Non ho alcuna intenzione di scusarmi per aver deciso di inviare questa informativa alle famiglie perché è giusto che il pubblico conosca la posizione del governo e le sue motivazioni». E ha chiuso il discorso con altrettanta chiarezza: «Il governo non è neutrale su questo referendum. Noi riteniamo che uscire dall’Europa sarebbe una pessima decisione, per l’economia, il lavoro, gli investimenti, le finanze delle famiglie e per le università».