Referendum e Costituzione, Costituzione e Resistenza. Resistenza e democrazia. E, persino, vita e Resistenza. Volevamo mettere insieme tutto questo. Per il 17 aprile scorso, per il 25 prossimo e per l’ottobre che verrà. Settimana difficile questa, al solito. Ma per quelle facili non è tempo. Perché resistere oggi non vuol dire difendere la libertà, ci racconta Ascanio Celestini, ma il lavoro. Persino dalla morte. Quella fisica. Come a Taranto. Lavorare e morire insieme. Come un tempo a Niccioleta. Lo leggerete. La Resistenza del Terzo millennio vuol dire riuscire a “tenersi” un lavoro anche se fa morire te e i tuoi cari. Vuol dire resistere “in vita”. Come non sono riusciti a fare quei 400 in mare. E vuol dire anche resistere, come scrive Nadia Urbinati, a quelli che impegnati “a fare” ti chiedono di non rompere troppo le scatole. Di non chiedere troppo, di non volere troppo. Semmai la vita, quella fisica. Per il resto c’è tempo. E ci pensano loro, perché loro “fanno”: «Ciascuno faccia il proprio lavoro, noi “facciamo” e governiamo e voi “fate” i vostri interessi e lavorate; è sufficiente che voi designiate con il voto ogni cinque anni una classe di politici, ed è desiderabile che rompiate poco le scatole tra un’elezione e l’altra e per questo, che il vostro vociare venga ben filtrato e tenuto in sordina. Noi penseremo al vostro bene, noi sbloccheremo il Paese - voi fidatevi e lasciateci governare», così leggerete su Left di questa settimana. “Si prega di non pensare”, sembra ci dicano i nostri governanti. Resistenza, vita e lavoro nello scritto di Celestini. Resistenza rifiuto e amore per la “troppa democrazia” in quello della Urbinati. Per Left è impossibile “non pensare”. Siamo come i partigiani di Santa Libera che si ribellarono a Togliatti, di cui scrive Raffaele Lupoli. Utopici e irragionevoli, non riusciamo a non pensare. Qualche giorno fa qualcuno ci scriveva irridendo la parola “democrazia”, che valore ha la democrazia dunque? Ecco, per noi ne ha uno grande. Immenso. Non è tempo per scherzare. Con la democrazia. Non è tempo per non capire che solo lei è garante di uguaglianza e libertà, ed è garante di vita per una Sinistra che è venuta e troverà anche rappresentanza politica. Perché, come scrive sempre la Urbinati, questo governo con questa riforma costituzionale sembra voglia portare «a compimento l’idea della Trilaterale che nel 1975 lanciò il progetto di domare i movimenti di critica e di contestazione, accusati di destabilizzare i governi con le loro richieste di giustizia sociale e le lotte per i diritti civili. Come scriveva Samuel Huntington nel documento della Trilaterale che si intitolava La crisi della democrazia (“crisi” perché vi erano troppo attivismo dei cittadini e troppe richieste della società) i cittadini vogliono sapere troppo, anche ciò che è prudente che solo i governi sappiano. La troppa democrazia è stato il costante problema dei conservatori a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale - e la lotta per cambiare le democrazie parlamentari è parte di questo progetto». La “troppa democrazia” è stato il costante problema dei conservatori. Anche dei nostri “giovani” conservatori di potere (e non di democrazia), perché nel disprezzo del «ciaone» di Carbone non c’è “troppa democrazia”. Nella definizione di «referendum bufala» di Renzi non c’è “troppa democrazia”. Come anche nell’invito all’astensionismo di Napolitano non c’è “troppa democrazia”. Mentre nello scritto che ci ha inviato nella notte Chiara Saraceno, chiedendoci se ci interessasse pubblicarlo, sì, c’è troppa democrazia. «Non mi indigno quindi per il fallimento del referendum ad opera dei non votanti. Mi indigno che Renzi (con il sostegno, ahimé, di Napolitano) abbia dichiarato stupido, vittima di una bufala, chi è andato a votare nel merito e populista chi lo ha incoraggiato a farlo. Non è un messaggio destinato a rafforzare la fiducia dei cittadini verso la politica e le istituzioni e a incoraggiare la cittadinanza attiva». Si impone, arrivati a questo punto, un nostro “ciaone”, ideale e gentile, alla ganga governante, dobbiamo fare davvero troppe cose in questi mesi. E ve le dobbiamo raccontare tutte. Resistere, per Left, vorrà dire esercitare «l’arte di tendere la Storia», come ci racconta Pino Tripodi a pagina 25. Perché il tempo per noi è prezioso. Non è denaro. [su_divider text="In edicola" style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

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Questo articolo lo trovi sul n. 17 di Left in edicola dal 23 aprile

 

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Referendum e Costituzione, Costituzione e Resistenza. Resistenza e democrazia. E, persino, vita e Resistenza. Volevamo mettere insieme tutto questo. Per il 17 aprile scorso, per il 25 prossimo e per l’ottobre che verrà. Settimana difficile questa, al solito. Ma per quelle facili non è tempo. Perché resistere oggi non vuol dire difendere la libertà, ci racconta Ascanio Celestini, ma il lavoro. Persino dalla morte. Quella fisica. Come a Taranto. Lavorare e morire insieme. Come un tempo a Niccioleta. Lo leggerete. La Resistenza del Terzo millennio vuol dire riuscire a “tenersi” un lavoro anche se fa morire te e i tuoi cari. Vuol dire resistere “in vita”. Come non sono riusciti a fare quei 400 in mare. E vuol dire anche resistere, come scrive Nadia Urbinati, a quelli che impegnati “a fare” ti chiedono di non rompere troppo le scatole. Di non chiedere troppo, di non volere troppo. Semmai la vita, quella fisica. Per il resto c’è tempo. E ci pensano loro, perché loro “fanno”: «Ciascuno faccia il proprio lavoro, noi “facciamo” e governiamo e voi “fate” i vostri interessi e lavorate; è sufficiente che voi designiate con il voto ogni cinque anni una classe di politici, ed è desiderabile che rompiate poco le scatole tra un’elezione e l’altra e per questo, che il vostro vociare venga ben filtrato e tenuto in sordina. Noi penseremo al vostro bene, noi sbloccheremo il Paese – voi fidatevi e lasciateci governare», così leggerete su Left di questa settimana. “Si prega di non pensare”, sembra ci dicano i nostri governanti.

Resistenza, vita e lavoro nello scritto di Celestini. Resistenza rifiuto e amore per la “troppa democrazia” in quello della Urbinati. Per Left è impossibile “non pensare”. Siamo come i partigiani di Santa Libera che si ribellarono a Togliatti, di cui scrive Raffaele Lupoli. Utopici e irragionevoli, non riusciamo a non pensare. Qualche giorno fa qualcuno ci scriveva irridendo la parola “democrazia”, che valore ha la democrazia dunque? Ecco, per noi ne ha uno grande. Immenso. Non è tempo per scherzare. Con la democrazia. Non è tempo per non capire che solo lei è garante di uguaglianza e libertà, ed è garante di vita per una Sinistra che è venuta e troverà anche rappresentanza politica. Perché, come scrive sempre la Urbinati, questo governo con questa riforma costituzionale sembra voglia portare «a compimento l’idea della Trilaterale che nel 1975 lanciò il progetto di domare i movimenti di critica e di contestazione, accusati di destabilizzare i governi con le loro richieste di giustizia sociale e le lotte per i diritti civili. Come scriveva Samuel Huntington nel documento della Trilaterale che si intitolava La crisi della democrazia (“crisi” perché vi erano troppo attivismo dei cittadini e troppe richieste della società) i cittadini vogliono sapere troppo, anche ciò che è prudente che solo i governi sappiano. La troppa democrazia è stato il costante problema dei conservatori a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale – e la lotta per cambiare le democrazie parlamentari è parte di questo progetto». La “troppa democrazia” è stato il costante problema dei conservatori. Anche dei nostri “giovani” conservatori di potere (e non di democrazia), perché nel disprezzo del «ciaone» di Carbone non c’è “troppa democrazia”. Nella definizione di «referendum bufala» di Renzi non c’è “troppa democrazia”. Come anche nell’invito all’astensionismo di Napolitano non c’è “troppa democrazia”. Mentre nello scritto che ci ha inviato nella notte Chiara Saraceno, chiedendoci se ci interessasse pubblicarlo, sì, c’è troppa democrazia. «Non mi indigno quindi per il fallimento del referendum ad opera dei non votanti. Mi indigno che Renzi (con il sostegno, ahimé, di Napolitano) abbia dichiarato stupido, vittima di una bufala, chi è andato a votare nel merito e populista chi lo ha incoraggiato a farlo. Non è un messaggio destinato a rafforzare la fiducia dei cittadini verso la politica e le istituzioni e a incoraggiare la cittadinanza attiva».

Si impone, arrivati a questo punto, un nostro “ciaone”, ideale e gentile, alla ganga governante, dobbiamo fare davvero troppe cose in questi mesi. E ve le dobbiamo raccontare tutte. Resistere, per Left, vorrà dire esercitare «l’arte di tendere la Storia», come ci racconta Pino Tripodi a pagina 25. Perché il tempo per noi è prezioso. Non è denaro.

Questo articolo lo trovi sul n. 17 di Left in edicola dal 23 aprile

 

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