Il boss latitante è forse l'ultimo scemo rimasto mafioso senza vitalizio e un onorevole da sfoggiare con gli amici in vecchiaia giocando a carte dentro un bar

Pensavo questa mattina, uno di quei pensieri che di solito viene al mattino presto quando ancora barcolli tra i giornali e il caffè che Matteo Messina Denaro è il più anacronistico boss latitante che si sia mai visto in giro. Un pirla, come direbbero a Milano, oppure “un coglione” come l’avrebbe detto Berlusconi, sicuramente uno poco adeguato a stare al passo con i tempi.

Mi spiego. In un Paese che coltiva elementi di spicco della criminalità organizzata travestiti da politici (penso a Giulio Andreotti, Totò Cuffaro, Marcello Dell’Utri, Nicola Cosentino, solo per dire i primi esempi che mi vengono in mente) lui, il Messina Denaro, è forse l’ultimo scemo rimasto mafioso senza vitalizio e un onorevole da sfoggiare con gli amici in vecchiaia giocando a carte dentro un bar. Gli deve essere sfuggito il passaggio in cui i suoi predecessori (che sono solo in parte quei minus habens di Riina e Provenzano poichè ci manca sostanzialmente di conoscere i “cervelli” di quel periodo) hanno capito che convenisse infiltrare la politica nella mafia piuttosto che il contrario.

Sei un mafioso da niente se oggi non riesci almeno a farti eleggere consigliere regionale: abbiamo la criminalità organizzata più specializzata in Piani di Governo del Territorio (PGT) meglio di tanti politicanti, abbiamo le mafie con la più alta consapevolezza dell’uso delle preferenze rispetto agli elettori onesti: le mafie, qui, hanno finito per vincere anche nei meccanismi legali e democratici, per dire. E questo è un problema. O forse questo è IL problema poiché alla fine la disaffezione alla politica (storicamente mai stata così diffusa) finisce per essere il perfetto favoreggiamento, il concorso esterno inconsapevole. E intanto loro proliferano felici e contenti.

Ed è per questo che credo (come ho scritto ieri) che piuttosto che perdersi nella gara di chi ha la gomorra più lunga forse sarebbe il caso di capire che la “legge quadro” migliore contro le mafie sia proprio la Costituzione, sia l’esercizio più pieno della politica nelle sue forme, sia l’allenamento continuo dello sclerotizzato muscolo della curiosità.

Pensavo, tra le altre cose, che siamo finiti a parlare più di antimafia che di mafia, e anche questo è curioso. Come se domani per sconfiggere l’influenza ci azzannassimo tutti sulla migliore miscela di Tachipirina, una cosa così. Mentre coliamo di febbre.

Ecco: Matteo Messina Denaro è l’unico che ancora crede nella “separazione delle carriere”: politico o mafioso. Come il Cardinale o il prete di campagna. E intanto viene doppiato dal più misero consigliere provinciale. Perché, in effetti, la mafia non si sconfigge né con i libri né con i convegni, benché sia cosa piena di poesia: fa più argine un buon dirigente di un ufficio tecnico comunale che qualsiasi capolavoro artistico. Che poi è quello che si cercava di far capire in questi giorni, mi pare.

Buon venerdì.