Rien ne va plus! Si era appena ripreso dall’affare Guidi e gli è caduta in testa la tegola del presidente campano del Pd che telefonava ai Casalesi e li ringraziava per i voti. Aveva giusto risposto alla frase di Davigo, «i politici non hanno smesso di rubare, hanno smesso di vergognarsi», quando ecco che arrestano per turbativa d’asta il sindaco Pd di Lodi. La corruzione si banalizza e non conosci antidoti. Così fan tutte! Al grido che fu di Mozart, tanti, troppi amministratori al governo giustificano le loro infedeltà e corrono a baciare le pantofole dei comitati d’affari. Mattarella stigmatizza, i 5 stelle speculano, Renzi corre alla lapide di La Torre ma per dire “l’antimafia non divida unisca”, l’esatto contrario di quel che han fatto Chimici, Falcone e Borsellino, han diviso il grano dal loglio e per questo hanno pagato.
L’Italia ritrova la crescita, il nostro sistema bancario è vivo e lotta insieme a noi, abbiamo creato lavoro, ridotto il precariato: come siamo stati bravi! Ma poi Ilvo Diamanti interroga gli Italiani e scopre che sono in maggioranza Gufi: il 72% ritiene che l’occupazione nel Belpaese “non sia ripartita”, Il 68 che sia aumentato il lavoro nero, il 73 che ci siano più precari, il 67% che il futuro dei giovani sarà peggiore. Poi la borsa rifiuta di quotare la Banca Popolare di Vicenza appena “salvata” e Weindmann, patron di Bundesbank da lezioni di rigore al povero Renzi, quasi fosse uno Tsipras qualsiasi.
Non parliamo di amministrative: secondo i sondaggi Parisi ha raggiunto Sala nella sfida tra uguali, manager contro manager, per Palazzo Marino, tra il Marchini, la Meloni e la Raggi, il candidato renzo-radicale Giachetti rischia di non arrivare al ballottaggio, Napoli è persa, al premier non resta che sperare nella fedeltà a Fassino dei Bogia nen torinesi e in quella alla ditta dei vecchi comunisti bolognesi.
Rien ne va plus per il rottamatore. Non riesce a imporre l’amico e finanziatore Marco Carrai alla cybersecurity, si fa sommergere dalle critiche per la nomina di Toschi – solo per due anni – al vertice della Guardia di finanza. Ha perso il tocco, si sente solo, per fortuna non crede “ai complotti dal tempo di Biscardi” se no, forse, lancerebbe anatemi contro il patto pluto-giudaico-massonico o contro la perfida trama di magistrati comunisti, sindacalisti comunisti, giornalisti pure comunisti. E quasi lo fa.
Per fortuna che c’è il referendum a ottobre. Gli italiani non ne sanno molto e lui gliene vuol far sapere ancora meno. “Dopo 63 governi, si cambia”! Facevano tutti schifo quei 63 governi dell’era repubblicana e il suo che ha fatto di così diverso? Con la riforma, meno indennità: 630 deputati più 100 senatori – tra i quali, magari, qualche consigliere regionale a cui serve l’immunità. Mentre il progetto alternativo dei Gufi (Casson, Tocci , Mucchetti) di indennità ne prevedeva 500, per 350 deputati e 100 senatori. E quanto a me avrei pure abolito il Senato, a condizione di mantenere il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale che la riforma ha reso scalabile dal premier.
Torna l’Italia del Sì e Renzi vuole scovarla casa per casa. Le parole sono importanti, diceva Moretti. Quando ho sentito il mio presidente del Consiglio che questo diceva, ho avvertito un brivido per la schiena. L’Italia del Sì, quella che gridava in camicia nera Eia Eia alalà. Quella che portava in giro madonne pellegrine mentre Pio XII scomunicava dirigenti sindacali e comunisti. Quella che saltellava “chi non salta comunista è, è” al comando del Caimano.
Preferisco l’Italia del No, quella che voleva essere l’acido corrosivo della stupidità, Antonio Gramsci. Quella di Vittoria Foa, “essere a sinistra vuol dire vivere oggi e contemporaneamente domani”. Di Galileo, toscano di Pisa, che capovolse il pensiero del suo tempo. E di Machiavelli, toscano di Firenze che alle genti svela di “che lacrime (il potere) grondi e di che sangue” e non a inventarsi un plebiscito per lavare le sconfitte. A proposito, un sondaggio dà i no al 52%.
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