Oggi - 9 maggio - sono passati 38 anni dall'assassinio di Peppino Impastato. E sono serviti decenni per mettere nero su bianco quello che “sapevano tutti”

Film, canzoni, fumetti, ricordi d’ogni sorta. Oggi – 9 maggio – sono 38 anni dall’assassinio di Peppino Impastato. E in 38 anni, Peppino Impastato, non sono riusciti a cancellarlo. Anzi. Ma quando la mattina del 9 maggio 1978 il suo corpo esanime fu ritrovato a Cinisi, il fatto passò quasi inosservato. Perché un altro fatto ben più sensazionale era avvenuto in via Caetani, a Roma. Oggi è anche l’anniversario del ritrovamento di Aldo Moro.
Quando ritrovano Peppino, alla ferrovia, il suo corpo è steso sui binari e sotto c’è una carica di tritolo. Suicidio, è la prima ipotesi. Anzi, peggio: stava preparando un attentato, dicono, e ha approfittato per ammazzarsi. Infame due volte: suicida e terrorista. Lo dicono le forze dell’ordine, lo dice la magistratura, lo dicono pure i colleghi di Peppino: i giornalisti.

Sono serviti decenni, le due intere vite – spese da vivi – del fratello Giovanni e della madre Felicia, e il lavoro certosino dei compagni di Peppino, quelli del Centro siciliano di documentazione di Palermo, per mettere nero su bianco quello che “sapevano tutti”:
Che nel 1984 il tribunale di Palermo sentenzia che la matrice dell’omicidio è mafiosa, ma lo attribuisce però ad ignoti.
Che nel 1988, il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti.
Che nel 1992 quel Tribunale archivia il caso Impastato, ribadisce la matrice mafiosa del delitto ma esclude la possibilità di individuare i colpevoli pur ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei corleonesi.
Che nel 1994 il Centro Impastato presenta un’istanza per riaprire l’inchiesta, forte di una petizione popolare.
Che nel 1996, dopo le dichiarazioni del pentito Palazzolo, venga indicato Gaetano Badalamenti come mandante dell’omicidio, assieme al suo vice, Vito Palazzolo. Che l’inchiesta viene formalmente riaperta e un anno dopo venga emesso un ordine di cattura per Gaetano Badalamenti.
Che nel 1999 i familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l’Ordine dei giornalisti si costituiscono parte civile e Gaetano Badalamenti rinuncia all’udienza preliminare e chiede il giudizio immediato. Che un anno dopo vengano respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell’Ordine dei giornalisti.
Che nel 2001 la Corte d’assise riconosce Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a trent’anni di reclusione.
Che, infine, nel 2002, l’11 aprile Gaetano Badalamenti venga finalmente condannato all’ergastolo.
Oggi lo sappiamo che lo hanno ammazzato di notte, la notte tra l’8 e il 9 maggio. Proprio quell’anno Peppino aveva deciso di presentarsi alle elezioni comunali, nelle liste di Democrazia proletaria. Quanti voti ha preso non lo saprà mai, non farà in tempo. Ma Peppino è diventato consigliere comunale, gli elettori di Cinisi lo hanno votato anche da morto. Lo avrebbero fatto da vivo? Non lo sapremo mai.

Provate a immaginare che queste righe siano uno dei racconti di Peppino su Radio Aut, in una delle sue puntate di Onda pazza. Rileggetele ascoltando la voce quasi in farsetto che avrebbe fatto per sfottere il potere, anche quello subito da se stesso. Ne avrebbe di avuta di carne da mettere sul fuoco della sua dissacrante ironia.
Tanto più è inverosimile, quanto è vero. Vero come il fatto che lungo le strade del suo paese si sia svolta la prima manifestazione d’Italia contro la mafia. Nel 1979, il 9 di maggio, quando duemila persone hanno sfilato per le strade di Cinisi.