Oggi il primo sciopero nazionale indetto da Gilda, Cobas, Unicobas Usb. Il 20 maggio è la volta di Cgil, Cils, Uil, Snals. Oggi mobilitazione contro le prove Invalsi. Ecco le voci della protesta.

Dopo molti mesi di silenzio, ci siamo, oggi è il primo giorno di sciopero nazionale della scuola. Il secondo, si terrà il 20 maggio. Due mobilitazioni a distanza di una settimana dimostrano però che il fronte compatto di un anno fa contro la Buona scuola – era il 5 maggio 2015 – sia purtroppo un ricordo. Oggi è la volta della mobilitazione promossa da Cobas, Unicobas, Usb e Gilda, il 20 sarà la volta di Cgil, Cisl, Ul e Snals. I motivi dello sciopero sono più o meno gli stessi: il blocco del contratto che ormai dura da sette anni, gli scatti di anzianità, il taglio di posti Ata, la protesta contro la legge 107 e il sistema di valutazione Invalsi. A proposito dei famigerati test che vengono “somministrati” proprio oggi nelle scuole superiori ai sindacati si unisce anche la protesta degli studenti. Con lo slogan “Siamo studenti, non numeri” l’Uds (Unione degli studenti) ha proposto varie forme di boicottaggio.

Ma torniamo agli scioperi. Perché i sindacati si presentano divisi? Perché Gilda, per esempio, che è sempre stata a fianco dei confederali va per conto proprio? Tanto più che condivide con la Cgil la campagna referendaria anti legge l07. «Noi ci siamo sempre battuti per l’unità sindacale e lo faremo anche per il futuro quando ci sarà da lottare per il contratto nazionale, per evitare che venga snaturato»,  afferma il coordinatore Rino Di Meglio. Solo che Gilda non ha firmato insieme agli altri sindacati l’accordo sulla mobilità «e loro, soprattutto Cisl e Uil, non ci hanno più coinvolto in iniziative unitarie. Quando la Cgil si è fatta viva era troppo tardi, avevamo già fissato il nostro sciopero il 12 maggio e non potevamo indirne un secondo», spiega Di Meglio.

La frattura è avvenuta sull’accordo della mobilità per l’anno 2016-17 firmato il 10 febbraio con una trattativa «atta ad arginare, le numerose contraddizioni lesive di diritti e parità di trattamento», si legge in un comunicato sindacale unitario. Da settembre 2016 infatti cambierà tutto a proposito dei trasferimenti: gli insegnanti non faranno più domanda nelle scuole come accadeva prima della legge 107, ma si iscriveranno negli ambiti territoriali (subprovinciali) da cui verranno scelti direttamente del preside. Un punto questo che secondo Di Meglio «va contro con la Costituzione che stabilisce a chiare lettere che i pubblici uffici sono basati su criteri d’imparzialità». La chiamata diretta del dirigente scolastico, ricordiamo, è oggetto di uno dei quattro quesiti referendari ed è il punto più contestato della legge: una minaccia alla libertà d’insegnamento, sancita dall’art.33 della Carta.
Ma tornando all’intesa raggiunta tra Miur e Cgil, Cisl, Uil e Snals, i vecchi assunti, quelli cioè fino al 2014-2015, potranno indicare ancora per un anno le scuole, mentre per i nuovi (55mila) delle fasi B e C della Buona scuola, il trasferimento sarà su ambito ma con la possibilità di essere trasferito a livello nazionale. Una prospettiva angosciante per chi ha appena festeggiato l’assunzione di ruolo: dire che questi docenti si sentono bistrattati è un eufemismo. I sindacati che hanno firmato l’intesa parlano di “ostacoli insormontabili” che hanno impedito di includere i nuovi assunti. La disparità di trattamento, ha precisato Domenico Pantaleo segretario della Flc Cgil in una intervista a Tecnica della scuola, non dipendeva dall’intesa tra sindacati e governo ma dalla legge stessa «che deve essere cambiata con tutti i mezzi possibili compreso il referendum». Ma su quell’accordo – la cui delicata trattativa per fissare i criteri di assegnamento agli ambiti, è ancora in corso – rimane il giudizio negativo di Gilda e degli altri sindacati minori. «Loro pensavano almeno per quest’anno di aver disattivato il sistema ma se accetti questo punto, come fai poi a contestare la legge?», si chiede Di Meglio.

L’invalsizzazione del sapere. Agli scioperi poi bisogna aggiungere il boicottaggio delle prove Invalsi. «Negli altri Paesi non si prevedono test uguali per tutti a livello nazionale e poi sono organizzati da enti di ricerca indipendenti che comunque sono finanziati su determinati obiettivi anche territoriali. Così si garantiscono i bisogni educativi di quell’area», afferma Danilo Lampis, coordinatore di Uds. In Italia invece «ci si limita a scattare una fotografia istantanea, con modalità nozionistiche. Una misurazione diacronica a campione sarebbe più efficace per valorizzare i progressi e individuare i deficit, per poi intervenire».
La valutazione Invalsi mai come adesso è sotto accusa. Perché non solo condiziona la didattica obbligando docenti e studenti ad applicarsi solo sui test, ma ha anche un «carattere burocratico, sanzionatorio e sostanzialmente autoritario» impresso dalla legge 107, come denuncia la Cgil. Il sindacato a novembre aveva protestato perché l’immissione in rete dei dati relativi ai rapporti di autovalutazione delle scuole (Rav) portava a una sorta di “schedatura” delle classi e dei docenti. Contro il sistema Invalsi il sindacato aveva tirato in ballo addirittura Barack Obama e il suo invito a rendere i test standardizzati delle scuole americane, «di altissima qualità in modo da essere uno stimolo all’insegnamento».

Anche Marina Boscaino, del Comitato Lip, promotore dei referendum abrogativi della legge 107, ha lanciato un appello contro «l’invalsizzazione degli apprendimenti e la pedagogia di Stato». Scioperare oggi, ha scritto è «un gesto di assunzione di responsabilità deontologica, etica e civile da parte di chi non intende più sopportare e subire le infinite imposizioni cui i docenti italiani sono sottoposti».