Si chiama Jane Little e ha vissuto abbracciata a un contrabbasso. Che poi il contrabbasso è anche uno strumento che devi amare in un modo tutto suo: pretende di essere cullato per essere suonato e non ha niente a che vedere con gli strumenti che ci stanno in un astuccio.
Se vi capita di osservare un suonatore di contrabbasso, voi seduti e lui sul palco, se vi capita di ascoltarli, vedete che è tutt’uno, strumenti e strumentista, con fuori solo la testa per respirare. Nelle orchestre i contrabbassi sono ballerini di legno a forma di contrabbasso e sopra avvitata la testa dell’orchestrale. Figure da mondo di Oz.
Lei, Jane, ci ha passato una vita intera. 71 anni nella stessa orchestra, con il mondo che cambiava e il metronomo a dare il tempo. Dicono che dovremo lavorare tutti tantissimo: ma 71 anni imbarcata nel lavoro che ami in un’orchestra a forma di famiglia è qualcosa che ha a che fare con la letteratura. 71 anni nella stessa orchestra sono un’orchestra che s’è fatta Paese.
Ed è normale che Jane si sia innamorata del futuro marito, Warren , primo flautista. E probabilmente avrà raccontato i dolori almeno a un paio di violini, avrà pianto con i fiati e trascorso gioie con il pianoforte.
La magia della storia di Jane non è che sia morta abbracciata al suo contrabbasso in un concerto; la magia di Jane è che sembra utopia pensare ad una lavoratrice che trasforma l’arte in mestiere e i colleghi in compagni. È l’idea del lavoro che di colpo racconta quanto l’umanità, la soddisfazione e l’impegno fossero gli ingredienti di un modo d’intendere il mestiere che si è sgretolato sotto la frenesia nevrotica di un tempo che ci chiede di non affezionarci per poter sopravvivere alle regole del mercato. Jane e il suo violoncello ci dicono quanto addirittura anche la monotonia sia diventata un privilegio da elemosinare. È così che una storia normale profuma già di mito.
Buon martedì.