Banksy per la prima volta a Roma. Il più famoso e misterioso street artist è raccontato dal 24 maggio al 4 settembre nella mostra War, Capitalism & Liberty che presenta la multiforme opera dell'artista britannico. Una antologica, organizzata da 999Contemporary e dalla Fondazione Terzo Pilastro Italia e Mediterraneo,  che promette di far conoscere opere meno note di Banksy perché fanno parte di collezioni private. Banksy Si tratta di ben 150 opere, fra queste anche dipinti, disegni, bozzetti, in cui dipana la sua poetica incisiva e graffiante su temi cardine come la guerra, i nessi che ha con sistema capitalistico e le esigenze insopprimibili di libertà dei cittadini che non si adeguano a questo oridine mondiale. In Occidente come in altri parti del mondo. A Banksy, infatti, si devono immagini entrate nell'immaginario collettivo come la bambina che si alza in volo attaccata a un palloncino scavalcando così il muro che divide Gerusalemme. Ma anche icone che mandano a gambe all'aria le ideologie che temono il disordine e sociale e le proteste, basta pensare all'immagine del poliziotto perquisito da una tenerissima bambina. [caption id="attachment_75695" align="aligncenter" width="953"]Banksy, Think tank Banksy, Think tank[/caption] In Palazzo Cipolla, negli spazi espositivi della FondazioneRoma, in via Marco Minghetti 17, non ci saranno opere di Banksy decontestualizzate o staccate dai muri assicura il presidente della Fondazione Emanuele Emanuele. Ci saranno invece opere acquistate da privati attraverso gallerie o scrivendo direttamente alla mail dell'artista, un indirizzo di posta che gli permette di mantenere la scelta di anonimato che connota il suo lavoro fin dagli inizi nei primi anni Novanta. Si dice che Banksy possa essere un inglese di Bristol, sulla quarantina, ma le voci che si sono inseguite in tutti questi anni non hanno trovato mai conferma. E poco importa conoscere la sua identità in fondo. A parlarci sono le sue immagini forti di messaggi politici e sociali, con una strizzatina d'occhio al glamour, come quando Banksy ritrae la modella Kate Moss in chiave pop come la Marilyn di Wahrol. Sarà questo uno dei pezzi forti dell'esposizione romana, insieme alla celebre scimmia in bianco e nero che esclama "Laugh now but one day we'll be in charge".   Banksy Il gallerista inglese Acoris Andipa, che ha curato la mostra insieme a Stefano Antonelli assicura che questa è la più grande mostra mai realizzata con le opere di Banksy includendo non solo opere grafiche e dipinte ma anche "sculture, stencil e opere realizzate mescolando linguaggi differenti". Non mancheremo di verificare. [caption id="attachment_75881" align="aligncenter" width="956"]Un murales dello street artist britannico Un murales dello street artist britannico[/caption]  Da leggere Banksy il terrorista dell'arte di Sabina De Gregori e  Non passa inosservata l’opera di guerrilla urbana che Banksy porta avanti, con una sua coerenza, da una ventina d’anni, difendendo strenuamente la propria libertà di azione e, perciò, anche il proprio anonimato. Negli anni Novanta a Bristol (la sua città natale), dal 2000 a Londra e poi a Gerusalemme contro il muro che ingabbia i palestinesi e in molte altre aree di tensione. Con la velocità che gli consente la tecnica antichissima dello stencil, Banksy ha disseminato immagini ironiche, sferzanti, antiautoritarie negli angoli più inaspettati del mondo. Pitture e disegni di strada ma anche sculture che, come ricostruisce Sabina de Gregori in un bel libro fotografico Banksy il terrorista dell’arte (Castelvecchi) rivelano un preciso messaggio politico. Fin dagli esordi quando, ispirandosi ai graffiti parigini di Blek le Rat, Banksy riempì Londra di fumettistici ratti di protesta, simbolo di diseredati che, a frotte, uscivano dall’ombra per dire la propria scritta a grandi lettere su bianchi cartelli.

Per arrivare poi a realizzare, con incursioni notturne, graffiti più elaborati per denunciare violenze militari e di regime ma anche religiose. Indimenticabili in questo senso la sagoma di un militare, faccia al muro, perquisito da una bambina oppure una celebre Madonna che “amorevolmente” allatta il bambino con il veleno. Icone che parlano chiaro. Così come certi interventi di Banksy dentro grandi musei: quando lascia un carrello da supermarket a naufragare in un lago di ninfee alla Monet o furtivamente traccia un topo con il cartello “Tu menti” nel bel mezzo di una mostra di Damien Hirst. Come un Arsenio Lupin al contrario, nota De Gregori, «invece di sottrarre qualcosa, Banksy aggiunge alle opere degli altri nuovi significati». Non lavora per sottrazione e cancellazione ( nonostante le sue opere a Londra siano state spesso coperte da writers rivali), perciò con  la giovane critica d’arte autrice di questa appassionate monografia non possiamo non convenire sul fatto che Banksy è un terrorista dell’arte assai anomalo e originale.  

Banksy per la prima volta a Roma. Il più famoso e misterioso street artist è raccontato dal 24 maggio al 4 settembre nella mostra War, Capitalism & Liberty che presenta la multiforme opera dell’artista britannico. Una antologica, organizzata da 999Contemporary e dalla Fondazione Terzo Pilastro Italia e Mediterraneo,  che promette di far conoscere opere meno note di Banksy perché fanno parte di collezioni private.

Banksy

Si tratta di ben 150 opere, fra queste anche dipinti, disegni, bozzetti, in cui dipana la sua poetica incisiva e graffiante su temi cardine come la guerra, i nessi che ha con sistema capitalistico e le esigenze insopprimibili di libertà dei cittadini che non si adeguano a questo oridine mondiale. In Occidente come in altri parti del mondo. A Banksy, infatti, si devono immagini entrate nell’immaginario collettivo come la bambina che si alza in volo attaccata a un palloncino scavalcando così il muro che divide Gerusalemme. Ma anche icone che mandano a gambe all’aria le ideologie che temono il disordine e sociale e le proteste, basta pensare all’immagine del poliziotto perquisito da una tenerissima bambina.

Banksy, Think tank
Banksy, Think tank

In Palazzo Cipolla, negli spazi espositivi della FondazioneRoma, in via Marco Minghetti 17, non ci saranno opere di Banksy decontestualizzate o staccate dai muri assicura il presidente della Fondazione Emanuele Emanuele. Ci saranno invece opere acquistate da privati attraverso gallerie o scrivendo direttamente alla mail dell’artista, un indirizzo di posta che gli permette di mantenere la scelta di anonimato che connota il suo lavoro fin dagli inizi nei primi anni Novanta. Si dice che Banksy possa essere un inglese di Bristol, sulla quarantina, ma le voci che si sono inseguite in tutti questi anni non hanno trovato mai conferma. E poco importa conoscere la sua identità in fondo. A parlarci sono le sue immagini forti di messaggi politici e sociali, con una strizzatina d’occhio al glamour, come quando Banksy ritrae la modella Kate Moss in chiave pop come la Marilyn di Wahrol. Sarà questo uno dei pezzi forti dell’esposizione romana, insieme alla celebre scimmia in bianco e nero che esclama “Laugh now but one day we’ll be in charge”.

 

Banksy

Il gallerista inglese Acoris Andipa, che ha curato la mostra insieme a Stefano Antonelli assicura che questa è la più grande mostra mai realizzata con le opere di Banksy includendo non solo opere grafiche e dipinte ma anche “sculture, stencil e opere realizzate mescolando linguaggi differenti“. Non mancheremo di verificare.

Un murales dello street artist britannico
Un murales dello street artist britannico

 Da leggere Banksy il terrorista dell’arte di Sabina De Gregori

e  Non passa inosservata l’opera di guerrilla urbana che Banksy porta avanti, con una sua coerenza, da una ventina d’anni, difendendo strenuamente la propria libertà di azione e, perciò, anche il proprio anonimato.

Negli anni Novanta a Bristol (la sua città natale), dal 2000 a Londra e poi a Gerusalemme contro il muro che ingabbia i palestinesi e in molte altre aree di tensione. Con la velocità che gli consente la tecnica antichissima dello stencil, Banksy ha disseminato immagini ironiche, sferzanti, antiautoritarie negli angoli più inaspettati del mondo. Pitture e disegni di strada ma anche sculture che, come ricostruisce Sabina de Gregori in un bel libro fotografico Banksy il terrorista dell’arte (Castelvecchi) rivelano un preciso messaggio politico. Fin dagli esordi quando, ispirandosi ai graffiti parigini di Blek le Rat, Banksy riempì Londra di fumettistici ratti di protesta, simbolo di diseredati che, a frotte, uscivano dall’ombra per dire la propria scritta a grandi lettere su bianchi cartelli.

Per arrivare poi a realizzare, con incursioni notturne, graffiti più elaborati per denunciare violenze militari e di regime ma anche religiose. Indimenticabili in questo senso la sagoma di un militare, faccia al muro, perquisito da una bambina oppure una celebre Madonna che “amorevolmente” allatta il bambino con il veleno.

Icone che parlano chiaro. Così come certi interventi di Banksy dentro grandi musei: quando lascia un carrello da supermarket a naufragare in un lago di ninfee alla Monet o furtivamente traccia un topo con il cartello “Tu menti” nel bel mezzo di una mostra di Damien Hirst. Come un Arsenio Lupin al contrario, nota De Gregori, «invece di sottrarre qualcosa, Banksy aggiunge alle opere degli altri nuovi significati». Non lavora per sottrazione e cancellazione ( nonostante le sue opere a Londra siano state spesso coperte da writers rivali), perciò con  la giovane critica d’arte autrice di questa appassionate monografia non possiamo non convenire sul fatto che Banksy è un terrorista dell’arte assai anomalo e originale.