La grazia ricevuta dal Consiglio di Stato per le liste romane non basta. Il percorso della sinistra resta accidentato e in salita. Con dirigenti spesso tentati dai dem e sempre divisi. Come potrebbe andare

È buio, siamo alle spalle della stazione Tiburtina, a Roma, in uno stanzone con le pareti bianche e un incredibile pavimento di linoleum a scacchi bianchi e neri, come la dama. La decisione era attesa per il primo pomeriggio e invece è arrivata solo in tarda serata, tanto per far restare Stefano Fassina su spine «molto appuntite», come ci scrive quando sono ancora le quattro e mezzo del pomeriggio. Arriva, la decisione del Consiglio di Stato, quando l’assemblea di Sel, a Roma, andava avanti da ore. Stava parlando Massimo Cervellini, compagno di vecchia data, passato attraverso il Pci, i Ds, poi il correntone che sfidò Fassino, e ora senatore di Sinistra Italiana. Poi il boato, il Consiglio di Stato riammette la lista “Sinistra per Roma – Fassina sindaco” e quindi Stefano Fassina torna in corsa per le comunali, per il voto del 5 giugno.

Torna libero dalle spine. In sala gioiscono tutti, ma i giornali del giorno dopo scriveranno che un pezzo di Sel era in realtà dispiaciuta, consapevole che la figuraccia sarebbe costata cara (e cinque anni fuori dall’assemblea capitolina) ma avrebbe permesso di regolare una serie di conti, di spazzare via la dirigenza che finora ha guidato il partito, spingendo nella direzione in cui spinge anche Fassina, pur a modo suo e – si dice – tentato dalla leadership forte di un rapporto con pezzi di Rifondazione che per ora guarda da lontano Sinistra italiana. Regolare i conti con chi ha spinto nella direzione di un nuovo soggetto politico marcatamente autonomo dal Pd. Troppo autonomo, è il giudizio.

La rappresentazione è ovviamente forzata, sembravano tutti veramente contenti nella sala col pavimento a scacchi. Ma è forzata solo un po’, come dimostrano gli stracci volati nei giorni della Passione, prima e dopo la sentenza del Tar, con Fassina che non si è sottratto dal gettare benzina sul fuoco, facendo intendere che in fondo la colpa dello scivolone che sembrava insanabile fosse delle diverse prospettive politiche: «Non si può portare avanti la fase costituente quando il nucleo fondativo ha opzioni contraddittorie» ha detto Fassina al Corriere, «la vicenda romana impone un chiarimento definitivo sulla prospettiva. Io non vedo complotti, vedo due impianti di cultura politica. Da una parte chi, come me, considera chiusa la fase del centrosinistra. Dall’altra, chi pensa che il nostro destino sia l’alleanza subalterna con il Pd».

Come sta andando dunque, il percorso di Sinistra italiana? Insomma. Le iscrizioni sono al palo, la piattaforma Commo che dovrebbe aprire la via a un partito nato dal basso e ricordare Podemos è più un blog con qualche sondaggio che altro. Si dirà che il congresso è ancora lontano e che tutto si animerà, ma è ancora una mezza verità. La verità è che non è certo solo Gad Lerner a pensare che «se anche Fassina prendesse il doppio dei voti che gli danno i sondaggi resterebbe ininfluente».

Questo articolo continua sul numero 21 di Left in edicola dal 21 maggio

 

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Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.