«Figuriamoci se non funzionerebbe! Guardate cosa ha fatto l’amministrazione Eisenhower negli anni 50, A me piace Ike – I like Ike era lo slogan di Eisenhower in campagna elettorale – espulse un milione e mezzo di persone senza problemi»· Donald Trump ha difeso così la propria proposta di deportare gli undici milioni di messicani senza documenti che vivono e lavorano negli Stati Uniti. Quell’idea e la proposta di ricostruire e ampliare il muro lungo la frontera Usa-Messico sono probabilmente la scintilla che ha acceso gli entusiasmi nei confronti del miliardario newyorchese in una fetta importante di opinione pubblica. Le battute sugli spacciatori e stupratori «che i messicani mandano in casa», hanno fatto parecchio rumore. Uno che dice cose simili non ce la farà mai, si diceva, tanto che Ed Milibank, columnist del Washington Post ha dovuto mangiare un suo articolo davanti a una telecamera per aver perso una scommessa su Trump.
Le stesse proposte sui messicani sono destinate a rendere più complicata una vittoria repubblicana alle elezioni vere, quelle in cui, oltre agli elettori militanti di partito, votano i cittadini. L’idea di deportare i messicani, infatti, non è solo brutta e sbagliata, ma è insensata dal punto di vista economico e demografico. E l’esempio storico di Eisenhower è una sciocchezza clamorosa. Non nel senso che Ike non deportò messicani, ma nel senso che la Operation Wetback – operazione “schiena sudata”, un modo insultante per definire i bracciati messicani -, come altre in precedenza, fu un disastro.
Il primo esempio drammatico di retate ed espulsioni di massa risale ai primi anni Trenta, quando gli Stati Uniti erano alle prese con la disoccupazione da Grande depressione e qualcuno dava la colpa ai messicani. La risposta di Hoover? Espulsioni e retate di massa per spaventare chi rimaneva e invogliarlo a tornarsene a casa. E siccome “un messicano è un messicano”, anche decine di migliaia di cittadini degli Stati Uniti finirono spediti oltre il confine. In questi mesi l’ex deputato per la California, Esteban Torres, ha raccontato più di una volta come un giorno presero suo padre, che lavorava come minatore in Arizona, senza preavviso e senza basi legali. Torres non lo rivide mai più. Un terzo delle persone coinvolte nelle operazioni di espulsione di massa di quegli anni, secondo molti storici che le hanno studiate, erano cittadini degli Stati Uniti. Ma che vuoi fare, “un messicano è un messicano” a prescindere. Molti altri vennero espulsi senza rispettare alcuna procedura legale.
Questo articolo continua sul numero 21 di Left in edicola dal 21 maggio