Oggi si apre a Istanbul il primo Vertice mondiale umanitario, un appuntamento fissato nel 2012 dalle Nazioni Unite che raccoglierà capi di Stato, ministri, alti funzionari e organizzazioni internazionali e che assume, per le circostanze in cui si svolge, un carattere speciale. Per posizione geografica e atteggiamento politico-diplomatico tenuto in questi anni, Ankara è al centro della crisi umanitaria siriana e irachena. Il vertice è convocato per ripensare la politica umanitaria Onu nel suo complesso, ma come capita sempre a queste occasioni, si svolgerà su due piani paralleli: quello generale, delle politiche e linee guida e poi i rifugiati.
Proprio di questi parla il presidente turco Erdogan in un articolo a sua firma pubblicato stamane sul Guardian. E paradossalmente – sebbene molto strumentalmente – dice delle cose sensate. Condite con dei toni arroganti e molto compiacenti nei confronti del proprio Paese, le parole di Erdogan puntano il dito contro il fallimento dell’Europa. Erdogan ricorda come la Turchia si sia fatta carico di una marea umana senza precedenti «mentre la comunità internazionale evitava di condividere le responsabilità» che venivano da quella crisi «mentre la Turchia e gli altri Paesi confinanti venivano lasciati soli». Erdogan gioca un po’ alla geopolitica: parlando della necessità di rovesciare Assad e di combattere l’Isis e attacca Bruxelles sostenendo – quasi a ragione – che fino a quando non sono arrivate le barche cariche di persone e le bombe dell’Isis, tutti hanno guardato dall’altra parte mentre la polveriera siriana era già esplosa e atrocità venivano commesse.
Su questo Erdogan chiede, rivolgendosi ai membri permanenti (o meglio, a russi e americani) che il Consiglio di sicurezza Onu si muova: per la Turchia muoversi significa rimuovere Assad e bombardare l’Isis. Naturalmente Erdogan sorvola sulle sue crisi, sulle bombe sganciate sui curdi siriani, considerati una minaccia perché alleati con il Pkk turco – il parlamento turco ha votato una legge che elimina l’immunità per i parlamentari, un provvedimento che tutti indicano come diretto a consentire alla polizia di incarcerare deputati dell’Hdp, la sinistra laica e filo-curda.
L’articolo di Erdogan ha un chiaro obbiettivo: far funzionare l’accordo con l’Europa e irrobustirlo. Funzionari turchi hanno detto al Guardian che sperano che l’Europa si faccia carico di mezzo milione di persone – la Turchia ne ospita due milioni. L’Europa ha tutte le colpe possibili, nel suo complesso e nel caso dei singoli Paesi. I due piani approvati dai consigli dei ministri europei, quello di redistribuzione interna delle persone già presenti sul territorio europeo hanno partorito dei topolini molto piccoli: il primo prevedeva la redistribuzione di 160mila persone e in sei mesi siamo al massimo a poche migliaia (se nelle ultime settimane c’è davvero stata un’accelerazione); il secondo e controverso accordo, che prevede il ritorno in Turchia delle persone che sbarcano in Grecia e per ogni riammesso in Turchia un ingresso legale in Europa, ad oggi, ha determinato l’arrivo entro i confini europei di 177 persone.
Il problema dei vertice è che i governi nazionali, che pure possono essere pronti a donare e impegnare più risorse, non vogliono nella maniera più assoluta accogliere persone. Le nuove rotte, che riguardano l’Italia, la tensione con l’Austria, proprio a causa della nuova direzione presa dai flussi migratori, segnalano una volta di più quanto i rischi di un fallimento del summit siano dietro l’angolo. Non a caso diverse organizzazioni internazionali ne hanno criticato l’agenda e l’organizzazione. Medici Senza Frontiere ha addirittura ritirato la propria partecipazione definendo il vertice una «foglia di fico dei fallimenti umanitari». I problemi posti da crisi come quella seguente al terremoto nepalese – che richiedono capacità di intervento ma non grandi sforzi diplomatici – sono anni luce distanti da quelli relativi alla crisi siriana. Da un lato c’è bisogno di organizzazione, impegno e risorse, dall’altro di tutte queste, ma anche di politica, diplomazia, accordi internazionali e pressione economica (o persino militare).
Raccogliere tutte le crisi, radunare tutti assieme, significa aumentare il rischio di rendere questo vertice un «parlatoio molto costoso», come lo ha definito Oxfam. Del resto, gli accordi con la Turchia e le ipotesi di aprire hotspot per rifugiati in Paesi africani il cui pedigree in materia di rispetto dei diritti umani è tutt’altro che buono, è un segnale di come le preoccupazioni politiche dei singoli Paesi europei facciano passare in secondo piano legalità, ideali di accoglienza e crisi umanitarie. Probabilmente alcune scelte si prenderanno, ma solo e soprattutto perché, a latere del vertice, si svolgeranno incontri e riunioni bilaterali e multilaterali. A Istanbul ci sarà Merkel, che con la Turchia discuterà di rifugiati. Forse si parlerà anche della guerra in Siria e di come uscirne, ma non ci sarà Putin, e senza di lui, parlare di Assad è praticamente inutile.
Il vertice umanitario di Istanbul in cifre
- 125 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria, più di 60 milioni sono sfollati e 218 milioni sono stati colpiti da calamità naturali negli ultimi due decenni.
- 38 milioni sono le persone sfollate all’interno dei loro Paesi, 20 milioni i rifugiati, 2 milioni i richiedenti asilo.
- Tra 2008 e 2014 184 milioni sono stati evacuati o hanno dovuto lasciare le loro case a causa di un disastro. Una al secondo.
- Oggi si spendono 25 miliardi di dollari per far fronte alle crisi umanitarie – 12 volte più che nel 2001 – per aiutare chi ha bisogno di assistenza. Secondo un rapporto Onu sono necessari altri $ 15 miliardi.
- Il vertice si svolgerà su cinque assi, alcuni dei quali hanno risposte concrete, altri vaghi e tipicamente Onu: la prevenzione dei conflitti e la chiusura di quelli esistenti; rispetto delle regole internazionali di guerra; lavoro per includere tutti nel lavoro per lo sviluppo sostenibile; lavorare in modo nuovo per ridurre i bisogni.
- Al vertice parteciperanno 5mila persone, tra ministri, funzionari, rappresentanti delle Ong e del settore privato