Pittore visionario, dalla feroce ironia, Hieronymus Bosch è l’artista olandese che ha dato corpo a una visione religiosa in cui un’ideologia tardo gotica e pre-riformista si mescola al folclore popolare. Il mondo alla rovescia del Carnevale, la disforia della festa che per qualche giorno sovverte il potere, che poi torna più sadico che mai, appare accanto a macabre visioni dantesche dell’al di là. Declinate in minuziosi e angosciati quadri di punizioni corporali per i peccati commessi. Da dove nasca la bizzarria di questo pittore che pare tutto ancora chiuso nel medioevo, benché fosse contemporaneo di Leonardo, è la questione su cui si interrogano da secoli gli studiosi e sulla quale la grande mostra che si apre il 31 maggio al Prado per il V centenario dalla morte di El Bosco (così Bosch in spagnolo) promette di provare a dare qualche risposta.
Si tratta della più ampia retrospettiva mai realizzata del pittore il cui vero nome era Jeroen Anthoniszoon van Aken ( prese il nome della città del Brabante dove nacque e visse tutta la sua vita: ‘s-Hertogenbosch).
La mostra del Prado riunisce infatti 21 opere della 24 sopravvissute. Compreso Il Giardino delle delizie, che è conservato al Museo del Prado e che mancava dalla mostra che a Bosch aveva dedicato la sua città natale. Grazie alla passione di Filippo II per la pittura di Bosch, oltre al Giardino delle delizie, conserva L’Adorazione dei Magi e lo Haywain Tryptich. E nelle sale del museo madrileno si trovano squadernate insieme al Cristo che porta la Croce proveniente da El Escorial, e al San Giovanni Battista dalla Fundación Lázaro Galdiano. Al Prado c’è anche il frammento della Tentazione di Sant’Antonio, scoperto recentemente nel magazzino del Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City ( ma non tutti sono d’accordo sull’attribuzione).
Fra i quadri in mostra ci sono tavole dal sapore popolare che stigmatizza credenze popolari come quella che attribuiva a la pietra della follia, la pazzia umana. Bosch mostra un ridicolo dottore che per cappello ha un imbuto nel tentativo di togliere dal cranio di un malcapitato la fantomatica pietra. L‘irrisione verso la stupidità è un tema che ritorna nel mondo caleidoscopico mondo di Bosch. Come si può vedere nella tavola in cui in primo piano compare l’espressione ebete di un credulone di fronte a un prestigiatore,mentre un ladro gli ruba il sacchetto delle monete a sua insaputa.
Bosch era un grande moralista e se la prendeva soprattutto con i “peccati” che connotavano l’ascesa della nuova borghesia olandese, come l’avidità, la gola, la lussuria. Dei pochissimi dettagli che conosciamo della sua vita, sappiamo che faceva parte della confraternita di Nostra Diletta Signora, per laici ed ecclesiastici, che aveva come simbolo un giglio tra le spine e si dedicava al culto della Vergine. Certamente Bosch era dentro una tradizione locale in cui il cristianesimo si mescolava alle leggende popolari. Ma come leggere le figure grottesche che dominino il suo Giudizio universale? Nascevano da una paura delirante verso lo sconosciuto i suoi mostri che sembrano sorgere da una mente malata? La malattia, la morte, la pazzia erano temi che percorrono tutto il medioevo. E la pazzia è il tema di un’opera satirica in tedesco alsaziano, La nave dei folli, pubblicata nel 1494 a Basilea da Sebastian Brant, checertamente conosceva e della quale dette una sarcastica e folgorante rappresentazione.
Bosch credeva che per salvarsi l’unico modo fosse evitare il male, non tanto fare del bene, credeva nel diavolo e lo vedeva ovunque, come se riprendesse la tradizione dei predicatori medievali che raccontavano aneddoti feroci. Nell’epoca in cui visse c’era una folta letteratura fantastica a fondo religioso, che aveva un fondo orrorifico. Ed è probabile che molta parte del suo fitto simbolismo fosse decifrabile al tempo e che oggi siano andate perdute le chiavi interpretative. Senza contare che Bosch non era solito datare le sue opere e diventa difficile fare una periodizzazione. Che gli studiosi hanno formulato in base all’evoluzione della sua tecnica pittorica. In mezzo alle scene partorite dalla sua strana fantasia, bizzarra, straniante, si scoprono così lirici e raffinatissimi sprazzi di paesaggio sullo sfondo. E questo paradossalmente non fa che rendere ancora più grande l’enigma di Bosch. Nelle chiese romaniche c’erano molte rappresentazioni di orrori in qualche modo facevano del linguaggio del tempo, come accennavamo, pensiamo ad esempio alla Pala di Isenheim, il pittore tedesco Matthias Grünewald (1512-1515), con figure terrificanti che sembrano tratte da bestiario di Borges che trascinano San Antonio. Ma Bosch va oltre.
C’è qualcosa di profondamente inquietante nelle sue composizioni horror minuziosamente descritte, in cui sono accatastate un’infinità di figurine sconnesse. In questo sua ridda di crudeltà consumate a vista, c’è una dismisura grottesca, che alla fine produce l’effetto di una involontaria comicità. E c’è anche chi, come lo scrittore Cees Nooteboom scrivendo un libro su Bosch dal titolo Een duister voorgevoel e in corso di traduzione da Iperborea, ha recentemente notato l’eterodossia della sua vistosa insistenza sui nudi, che nei quadri di Bosch tuttavia non hano nulla di erotico. Essendo membro dell’illustre Confraternita della Madonna, il pittore era protetto. «Ma resto curioso -dice lo scrittore olandese – che non gli abbiano chiesto nulla sulla enorme quantità di nudi nei suoi quadri». C’era una setta che si chiamavano Adamiti che dormivano nudi senza toccarsi. Predicavano il ritorno dell’Eden attraverso il nudismo. Bosch se ne era interessato? E la disperazione che si coglie in dipinti come Il giardino delle delizie non era giudicata eretica rispetto alla dottrina cristiana che impone di credere che Cristo sia il figlio di Dio, morto per redimere nostri peccati? «Se Bosch con questa sua una visione desolante del mondo avesse voluto dire che Cristo non aveva fatto nulla di buono che cosa sarebbe successo? Si cammina su un esiguo filo psicologico che ti porta a rivedere e a reinterpretare di continuo il lavoro di questo insolito pittore». Certo, Filippo II governava su un Paese puritano, c’era una guerra che durava da ottanta anni, ma questo basta a spiegarne l’allucinata visionarietà? Si domanda Cees Nooteboom, rivendicando la radice olandese del lavoro di Bosch.«Senza offesa per il Prado – dice – Il giardino delle delizie è il nostro fregio del Partenone».