Il diario da Parigi della scrittrice Chiara Mezzalama che racconta la Capitale francese divisa fra la piena della Senna dovuta al mal tempo e l'ondata di proteste per la nuova legge sul lavoro, molto simile al nostro Jobs Act, che i francesi proprio non vogliono

Sì, lo so, stiamo tutti guardando la piena della Senna, le sue acque scure e limacciose che hanno lambito i fianchi dello zuavo, la statua del ponte dell’Alma che misura il crescere del fiume. Piove a Parigi da giorni e queste piogge straordinarie sono un altro dei segni del cambiamento climatico che ci ostiniamo a non prendere sul serio. Come spesso accade, il nostro sguardo si ferma alla punta dell’iceberg, incapaci come siamo di comprendere le complessità di un mondo che sta cambiando più velocemente di quanto non ci venga raccontato. Tutto è così drammaticamente collegato che sbrogliare la matassa diventa un compito sempre più difficile, eppure proprio per questo irrinunciabile.
Il governo francese spera che la catastrofe naturale (la pioggia cade dal cielo dopotutto, che ci possiamo fare?) e il campionato di calcio (anche il calcio è una sorta di entità superiore) plachino il clima di crescente tensione, talvolta violenza, che scuote il paese da mesi. – Guardate la punta dell’iceberg, al resto pensiamo noi – sembrano dire (con l’aiuto della polizia e delle sue maniere assai discutibili) . Il sindacato si è rifiutato di sospendere gli scioperi per rispetto alle vittime delle alluvioni e alcune azioni di disturbo sono previste per il giorno di inaugurazione del Campionato Europeo 2016. “On lâche rien”, non molliamo niente, è uno degli slogan che si ritrova in tutte le manifestazioni e nelle piazze.

Nuit Debout in Paris

Sabato quattro giugno, 96 marzo per il calendario Nuit Debout, place de la République è tutta avviluppata in un nastro bianco con su scritto “Zone hors TAFTA”, zona fuori TTIP, il trattato di scambio transatlantico che viene negoziato da mesi senza alcuna trasparenza. L’enorme cavallo di troia gonfiabile che troneggia in mezzo alla piazza spiega meglio di molte parole a quale rischi l’Europa stia andando incontro. Anche l’orchestre debout, che si riunisce oggi per il quarto concerto, dedica il suo repertorio all’Europa, alla difesa dei suoi valori e al Brasile che attraversa una fase difficile della sua storia. E allora tatatata, ecco il primo movimento della Quinta Sinfonia di Beethoven, seguito dal Coro dei Gitani dal Trovatore di Verdi, Paris-mai la canzone del ‘68 di Claude Nougaro e per finire Apesa Você di Chico Buarque. L’acustica è pessima perché in piazza ci sono altri dibattiti, i musicisti hanno avuto soltanto un’ora per provare eppure seduti qui per terra, ci vengono i brividi. Anche l’arte è diventata un bene di consumo, un bene di lusso misurato esclusivamente sul suo valore economico.

Nuit Debout in Paris

È importante che la gente rimanga in piazza per dare tempo al movimento di organizzarsi, di diventare un soggetto politico dotato di una strategia, capace di darsi degli obiettivi a lungo termine, di coinvolgere parti sempre più ampie e trasversali della società. Per organizzarsi servono tempo e fatica, non basta una sollevazione spontanea, l’azione di pochi individui isolati. E servono delle buone idee, delle invenzioni nuove, anche lo sciopero tradizionale come strumento di lotta mostra i suoi limiti: per chi è uscito dal mondo del lavoro, per chi non ci è mai entrato, per è chi precarizzato, perduto, disperato, che senso può avere scioperare? I diritti sociali dovrebbero essere legati all’individuo non al suo status socio-professionale. Mi domando se queste piazze francesi serviranno davvero a incubare qualcosa. A dare il coraggio alla gente di andare a guardare cosa si nasconde sotto la punta dell’iceberg. E a manifestarsi come un’ondata di piena.