Entro il 2020 8 miliardi di euro saranno destinati dall’Unione europea alla conclusione di accordi bilaterali con i Paesi africani dai cui partono i migranti diretti nel Vecchio continente. È il punto centrale del piano della Commissione Ue per affrontare la cosiddetta emergenza migranti, nel quadro di una prospettiva a lungo termine e di nuovo Piano d’investimenti che, parole di Federica Mogherini, consentiranno all’Europa di «passare dalla logica degli aiuti alla logica degli investimenti».
L’alto rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza dell’Unione, che ieri ha presentato il piano all’Europarlamento con il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans, parla di «una svolta rivoluzionaria, copernicana per il continente africano» e non solo nella gestione dei flussi migratori. Mezzo miliardo di euro del bilancio comunitario – gli unici fondi per ora certi – sarà ora destinato a rimpinguare l’Africa trust fund e altro mezzo miliardo potrebbe essere stanziato dai Paesi membri. Un miliardo in tutto che aggiungendosi agli altri sette disponibili a diverso titolo serviranno a promuovere le economie dei Paesi coinvolti per offrire ai potenziali emigrati ragioni in più per restare in patria.
Per ora si potranno stringere accordi bilaterali con Giordania, Libano, Tunisia, Niger, Mali, Etiopia, Senegal, Nigeria e Libia. «Ma nel tempo si aggiungeranno altri in Africa e Asia» fa sapere il commissario agli Affari interni Dimitris Avramopoulos. Il Cir, Consiglio italiano per i rifugiati, ha espresso le proprie perplessità in una nota: «L’aspetto positivo è che per la prima volta in questo documento la Commissione Europea, a differenza del Migration Compact presentato dall’Italia, include anche politiche di cooperazione con importanti Paesi di primo rifugio come il Libano e la Giordania, dove attualmente sono ospitati milioni di siriani. Purtroppo non viene però specificato il tipo di interventi che in questi Paesi potranno e dovranno essere sviluppati».
Altro punto controverso è quello degli strumenti identificati per ridurre il business dei trafficanti di esseri umani e le morti in mare. Strumenti che il Cir definisce «assolutamente inadeguati» perché il documento definisce come unica modalità d’ingresso legale in Europa il reinsediamento, «uno strumento importante ma che prevede procedure lunghe e difficoltose».
Da più parti, poi, si evidenzia il rischio che questi accordi – la cui definizione non sarà semplice, come dimostra il caso della Turchia – finiscano per finanziare potentati locali, spesso corrotti e violenti, e non raggiungano i risultati promessi. «L’investimento deve essere fatto non per tenere i rifugiati lontani dall’Europa ma per dare ai rifugiati una opzione e una reale protezione anche in questi Paesi» aggiunge il portavoce del Cir Christopher Hein, «permettere loro di rimanere vicini alle loro case, qualora questo sia il loro desiderio, in piena sicurezza e con possibilità di integrazione. Un discorso di potenziamento del sistema di protezione per rifugiati che crediamo dovrebbe essere fatto anche per Etiopia e Niger».
La Commissione ha anche annunciato un Piano d’investimenti estero con 3,1 miliardi di bilancio iniziale e la prospettiva di raddoppiare la cifra se i 28 Paesi membri accetteranno di contribuire. Così, dicono i commissari di Bruxelles, si darebbe vita a investimenti per 62 miliardi. Con i fondi in mano agli investitori soprattutto privati e il rischio – da scongiurare ad ogni costo – che finiscano, come è già accaduto, per arricchire pochi e costringere gli altri a scappare.