Il Global Peace Index 2016 indica il Nord Africa e il Medio oriente come le aree più sanguinose. La Siria ha il record di morti in battaglia e sfollati. Ma ci sono anche i Paesi pacificati, come il Vietnam

L’acronimo MENA (Medio oriente e Nord Africa) nella mappa del Global Peace Index (Gpi) 2016 ha un significato sinistro. Indica infatti una delle aree al mondo dove la pace negli ultimi dieci anni è ormai scomparsa. Stiamo parlando di Stati come la Libia, Yemen, Siria, Somalia, Sudan. E più a Est in Asia spicca il color rosso di Iraq e Afghanistan.

Sono 79 i Paesi al mondo dove la pace è diminuita, mentre 81 quelli in cui la situazione è migliorata nell’ultimo anno. Si vive bene in dieci Paesi completamente privi di conflitti: Botswana, Cile, Costa Rica, Giappone, Mauritius, Panama, Qatar, Svizzera, Uruguay e Vietnam. Quest’ultimo dimostra come a distanza di 50 anni sia possibile passare da una situazione di guerra e di tragedia a una totale assenza di conflitti.

La mappa a colori che segnala in verde scuro le aree di pace e in rosso sempre scuro quelle di guerra è stata pubblicata dall’Institute for Economics ad peace di Sydney che lo redige da dieci anni. È una visione globale sui conflitti e al tempo stesso sui processi di pace in tutto il mondo. È anche una analisi dei costi delle guerre, in termini di vite umane e di risorse economiche. Per esempio dal 2011 i morti per terrorismo sono aumentati da meno di 10.000 a oltre 30.000. Nell’anno scorso i morti per terrorismo sono aumentati dell’80 per cento e solo 69 Paesi sono rimasti immuni da attentati. Ci sono Stati il cui livello di sicurezza è peggiorato e sono: Guinea-Bissau, Polonia, Burundi, Kazakistan e Brasile. Per quanto riguarda i morti in battaglia, se dal 1990 al 2014 ci sono stati più d 50mila vittime in un anno in sei occasioni, dal 1965 al 1989 la stessa cifra si era raggiunta in 24 conflitti. Questo significa che negli ultimi anni la guerra si è inasprita mietendo più vite umane. La Siria è stato il teatro di guerra più disumano. Questo Paese, insieme a Iraq e Afghanistan sono i luoghi in cui perde la vita il 75% di tutti i morti in battaglia.

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Tra le conseguenze dei conflitti, ovviamente, l’ondata migratoria. Il numero dei rifugiati e degli sfollati è aumentato e dal 2007 al 2015 è di 60 milioni di persone. Come se la popolazione dell’Italia scomparisse totalmente. Somalia e Sud Sudan hanno il 20 per cento della popolazione ormai in fuga, ma è ancora la Siria a detenere il triste record con oltre il 60 per cento di sfollati.
Si vive meglio e in pace in America Centrale e Caraibi, aree che secondo il GPI,  hanno registrato una migliore condizione di vita rispetto al passato. E Islanda, Danimarca, Austria, Nuova Zelanda e Portogallo sono i Paesi più tranquilli. Cosa che non avviene per l’Ucraina e nemmeno per uno dei Paesi trainanti dei Brics, il Brasile, che scende al 105esimo posto in classifica.
Il Gpi calcola anche il costo delle guerre in termini economici. L’impatto della guerra e dei conflitti sull’economia globale nel 2015 corrisponde a 13 miliardi e 600 milioni di dollari, il 13,3% dell’attività economica del mondo, 1,876 dollari a persona. Se solo una parte di questa ricchezza venisse convogliata in azioni di pace, che cosa potrebbe accadere? Dove c’è la pace si crea sviluppo e cultura; lo dimostrano i 70 anni che ci hanno separato dalla seconda guerra mondiale. Un progresso mai visto nella storia dell’umanità.