Arriva anche un attentato a far aumentare la tensione su Brexit: è grave la deputata pro-Remain Helen Joanne Cox, colpita con un coltello e colpi d’arma da fuoco a Birstall, vicino a Leeds. L’aggressore avrebbe urlato «Britain first». «Per l’area euro rischi elevati» dice il Fondo monetario. La Bce: «Brexit mette in pericolo la crescita». Per Juncker non è la morte dell’Ue ma «creerebbe più incertezza». In Gran Bretagna, però, né gli allarmi né la tensione delle Borse o le pressioni dell’establishment sembrano influire sui consensi all’opzione di uscire dall’Ue. A una settimana dal voto, i sondaggi raccontano di un Leave in ascesa di una decina di punti rispetto a poche settimane fa e avanti di 5-6 punti rispetto al Remain, 53 a 47 secondo quello realizzato per l’Evening Standard.
Dopo l’endorsement pro-Brexit del Sun, oggi è arrivato quello “anti” del Financial Times, che titolava “Britain should vote to stay in the EU”, criticando i sostenitori del Leave, «un atto di autolesionismo» che relegherebbe il Paese al ruolo di “rule-taker” e non di “rule-maker”. Londra «ha plasmato l’adesione in base alle sue esigenze», prosegue il quotidiano finanziario, ed «essere al tavolo ha consentito alla Gran Bretagna di vincere molte battaglie a Bruxelles».
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Attirando gli strali sia dei Tory che del Labour, il cancelliere dello scacchiere George Osborne, impegnatissimo assieme a Cameron nella campagna per il Remain, ha spiegato che Brexit costerebbe 30 miliardi al Regno Unito, con conseguente aumento delle tasse e tagli alla spesa pubblica. Una minaccia di ulteriore austerità respinta al mittente da conservatori e socialisti che, garantiscono, non voterebbero mai misure come quelle annunciate da Osborne.
«Il governo Cameron ha esagerato le conseguenze economiche negative di Brexit. Credo che saranno negative nel breve periodo ma non catastrofiche», spiega a Left l’economista belga Paul De Grauwe, docente di Economia politica europea alla London School of Economics and Political sciences. Dopo l’eventuale Brexit, una Gran Bretagna in posizione di debolezza dovrà ricontrattare le relazioni commerciali con i Paesi europei, a condizioni non necessariamente favorevoli. E De Grauwe ha più volte spiegato che chiedendo di rimanere a un Paese che si è sempre mostrato ostile verso Bruxelles, l’Unione va contro i propri interessi.
«Molto dipende dalla natura dell’accordo commerciale che il Regno Unito può ottenere dalla Ue», riprende il docente. «Nell’incertezza, gli investimenti nel Regno Unito possono essere influenzati negativamente fino a un declino della crescita economica entro pochi anni». E cosa accade all’Unione Europea se vince il Leave? «Se Brexit prevale, un Paese – il Regno Unito – che ha sistematicamente minato ogni sforzo verso una maggiore integrazione, avrà lasciato. Questa è una buona notizia, ma l’Ue deve cogliere l’opportunità di modificare alcune delle sue politiche» replica il professore, il quale si è espresso a favore di Brexit spiegando che quando la Gran Bretagna sarà fuori dall’Ue, non sarà più capace di minarne la coesione. Cosa che invece continuerebbe ad avvenire “dal di dentro” in caso di sconfitta del Leave.
De Grauwe non risparmia i burocrati del Vecchio continente: «In particolare, l’Europa dovrebbe rinunciare a imporre riforme strutturali a senso unico, e dovrebbe invece porre l’enfasi sugli investimenti pubblici». Sono le riforme strutturali, spiega, la «fonte di miseria per milioni di persone e questo ha intensificato il desiderio in molti Paesi di lasciare l’Unione europea».
Il referendum del 23 giugno, dunque, è un monito per l’Europa dell’austerity, che deve fare i conti con le proprie responsabilità nell’aver contribuito al disincanto dei cittadini europei, e non solo dei britannici. «Ora è necessario cambiare rotta portando un messaggio positivo», conclude. «Lo si può fare spingendo per un importante programma di investimenti pubblici». Brexit o non Brexit, è anche per Bruxelles che si pone una questione di “in o out”.