Dopo il referendum sull'Europa, implode il quadro politico britannico. I ministri del governo ombra si dimettono in massa chiedendo una nuova corsa per la leadership. Che a questo punto appare probabile. Tra i tories possibile uno scontro tra Theresa May e Boris Johnson

A quattro giorni dal referendum, il quadro politico britannico è esploso. Dodici ministri ombra del governo laburista si sono dimessi chiedendo le dimissioni di Jeremy Corbyn – e in giornata si dimetteranno una serie di viceministri – il partito conservatore è in preda al caos, con le fazioni favorevoli e contrarie alla leadership di Boris Johnson che affilano i coltelli. Poi ci sono l’Europa, i mercati, la trattativa con Bruxelles e il difficile rapporto con la Scozia. I titoli delle banche sono di nuovo crollati – la Royal Bank of Scotland è ai livelli del 2009, quando era sull’orlo del fallimento e venne salvata con soldi pubblici – e la sterlina continua a perdere nei confronti di dollaro ed euro, nonostante il Cancelliere dello Scacchiere Osborne abbia tentato di tranquillizzare sulla situazione prima dell’apertura dei mercati. Hollande e Merkel hanno fatto sapere oggi che non ci saranno colloqui informali sulla Brexit: quando Londra chiederà di far scattare l’articolo 50, si comincerà a discutere. Un modo per mettere pressione sul Regno Unito.

Se la destra non sta bene, la sinistra è in preda a una guerra civile. La rivolta contro Corbyn covava dal giorno della sua elezione a leader e poche ore dopo il risultato del referendum è esplosa. Uno solo, tra i ministri ombra non legati al leader laburista, solo una non ha lasciato, mentre alcuni suoi alleati si sono dimessi, dicendosi convinti che il leader della sinistra non abbia le caratteristiche per far vincere il partito. Le dimissioni sono una pioggia, anche da parte di figure non nemiche: la Segretaria alla Casa, Blackman-Woods si è dimessa spiegando di non avere differenze politiche, ma di non aver visto, durante la campagna referendaria, un leader all’opera. E dopo un incontro con lo stesso Corbyn, si sono dimessi anche Lisa Nandy e Owen Smith e altri tre, la prima era una potenziale concorrente di sinistra per la leadership del partito, l’opinion maker e giovane firma della sinistra britannica, Owen Jones la incoraggiava. Tom Watson, vice di Corbyn, anche lui eletto, quindi con un mandato, ha chiesto al leader di «riconsiderare la sua posizione», non un invito alle dimissioni, ha specificato, ma alla riflessione. Si dice così, in politica, ma anche quello di Watson, che è un abile manovratore, è un missile. Anche i più vicini al leader ammettono che una nuova corsa per la leadership a questo punto è probabile.

A guidare la rivolta, che nei retroscena del Guardian è un piano studiato a tavolino, è Hilary Benn, figlio dell’ex leader della sinistra interna Tony, che probabilmente è stato una figura di riferimento proprio per Corbyn. Benn, Segretario ombra per gli Affari esteri, ha avuto posizioni diverse dal capo del partito sulla Siria e sul programma nucleare Trident e la sua nomina era un ramoscello d’ulivo nei confronti dell’ala del Labour sconfitta da Corbyn durante il voto sulla leadership. Dopo alcune dichiarazioni e le notizie uscite sul complotto anti Corbyn, questi lo ha rimosso dalla sua posizione. Il licenziamento di Benn ha determintao dimissioni in serie. In due giorni 15 su 23 hanno lasciato

Il clima nel Labour è tra i peggiori possibili: il ministro ombra per i rapporti con il Parlamento, Bryant, è arrivato a dire che nella discussione privata avuta prima delle dimissioni, Corbyn si è rifiutato di dire cosa ha votato al referendum – un modo per suggerire che potrebbe aver votato Leave.

La vera grande preoccupazione di una parte importante del Labour, non solo orfani del blairismo, è che si vada presto al voto e che il partito sia impreparato, manchi di una strategia credibile. Questo hanno ribadito proprio i segretari che si sono dimessi oggi, sostenendo che «non è più un problema di quei deputati che si oppongono a Jeremy fin dall’inizio. Corbyn non sa unire il partito, serve una nuova leadership». Si dice che la decisione di dimettersi dei ministri ombra che hanno visto il leader oggi sia stata causata da quella che hanno percepito come arroganza da parte di John McDonnell, Cancelliere ombra dello Scacchiere e tra i più forti alleati di Corbyn. Il giorno dopo il referendum McDonnell ha dichiarato: «Jeremy non va da nessuna parte, il momento è difficile, dobbiamo negoziare con l’Europa ed è il momento della sinistra di stare unita».

La verità è che sempre più figure importanti del partito, anche sostenitori di Corbyn, ritengono che occorra una nuova contesa per la leadership. Con una controindicazione: pochi mesi fa migliaia di giovani entusiasti accorsero a votare per Corbyn, cosa penseranno oggi se il loro leader venisse defenestrato da quello che appare come un colpo di mano? Certo è che se questa rivolta caotica non si placherà, l’immagine del partito laburista sarà davvero compromessa.

Una brutta situazione, visto che l’ala destra del partito conservatore, che parla di privatizzare il sistema sanitario nazionale ed è contraria a ogni intervento pubblico in economia, rischia seriamente di prendere in mano le redini del governo. Tra le voci anti-Johnson c’è anche la superstar televisiva degli chef britannici, il giovane che ha insegnato agli inglesi a cucinare, Jamie Oliver, si è schierato contro l’ex sindaco di Londra scrivendo su Instagram: «Ti prego di una cosa Gran Bretagna evita di darmi Boris fuckin Johnson come primo ministro o con te ho chiuso. La mia fede in noi stessi sarà persa per sempre. Non possiamo permettere che accada restando a guardare».

Theresa May, possibile alternativa a Johnson alla guida dei Tories
Theresa May, l’alternativa a Johnson alla guida dei Tories

 

L’alternativa a Johnson sembra essere Theresa May, Segretario agli Interni che ha fatto campagna per il Remain. In caso di sua vittoria si potrebbero evitare nuove elezioni. Vincesse l’ex sindaco di Londra, invece, si tornerebbe a votare: la sua piattaforma è molto diversa da quella di Cameron.

Per concludere tornano utili le parole di Alistair Darling, che si è speso molto per la campagna per rimanere in Europa e da Cancelliere dello Scacchiere ha gestito la crisi finanziaria che colpì il Regno Unito assieme agli Stati Uniti nel 2008: «Non abbiamo un governo, non abbiamo un’opposizione e le persone che ci hanno trascinato in questo caos si nascondono e abbiamo un gap di quattro mesi prima di avere un nuovo premier. Sono più preoccupato oggi che non all’esplosione della crisi finanziaria del 2008».