«Il Waterboarding? Lo adoro, ma penso che non sia duro abbastanza». A parlare, rispondendo a una domanda gridata dal pubblico, è Donald Trump, il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti. Trump era in Ohio per un comizio e stava parlando dell’attentato di Istanbul. Trump fa riferimento alla tecnica di interrogatorio per la quale la testa dell’interrogato viene tuffata sott’acqua. Una tortura, bandita negli Stati Uniti dal 2006, dopo, appunto, che vennero fuori in serie, prima le foto di Abu Ghraib e poi i dossier sulle modalità di interrogatorio utilizzate dall’intelligence americana contro i sospetti di terrorismo in giro per il mondo.
L’idea di Trump è che si risponda alle decapitazioni dell’Isis, non con lo Stato di diritto, ma con la mano pesante. Che in Iraq e Afghanistan ha funzionato benone. «Loro fanno quel che vogliono, dobbiamo farlo anche noi» è il concetto. Difficile dire se dopo anni di discussioni, notizie scioccanti e un dibattito giuridico prolungato gli americani si berranno l’idea che la tortura serva davvero a qualcosa. Trump, tra l’altro, sembra pensarla come strumento punitivo, non di intelligence: quando dice «loro decapitano e fanno quel che vogliono» sembra appunto dire “facciamogli male anche noi”.
Durante lo stesso comizio Trump ha promesso di avviare una guerra commerciale con la Cina. Il voto dei britannici sul Brexit, in questo senso gli da ragione: c’è una parte della classe media e lavoratrice bianca che non vuole più la globalizzazione. Ne parla anche Bernie Sanders su un editoriale sul New York Times, proprio facendo riferimento al Brexit: «L’idea che Donald Trump possa beneficiare delle stesse forze che hanno concesso ai sostenitori del “Leave” in Gran Bretagna dovrebbe far suonare un allarme per il partito democratico. Milioni di elettori americani, come i sostenitori del Leave, sono comprensibilmente arrabbiati e frustrati dalle forze economiche che stanno distruggendo la classe media». Sanders fa appello all’introduzione di nuove norme di commercio internazionale più eque e suona un campanello d’allarme vero per i democratici. Clinton – e la presidenza del marito – sono stati campioni dei trattati commerciali, dal Nafta in giù. E non è un caso che tra i possibili vicepresidenti di Hillary ci siano Elizabeth Warren e Sherrod Brown, senatori della sinistra che come Sanders parlano alla classe lavoratrice bianca.
Trump non ha solo un problema di immagine politica e di sparate eccessive che piacciono alla base ma spaventano gli elettori medi. E ha un problema di risorse. E poi di sondaggi. Di oggi la notizia che la campagna del miliardario newyorchese, tragicamente indietro nella corsa per le donazioni – cruciali per vincere le elezioni, per pagare spazi Tv, per organizzare i volontari – ha accettato soldi da cittadini non americani. Non solo, li ha anche chiesti con delle email. Due cose vietate dalle leggi sul finanziamento delle campagne. E nei sondaggi è indietro di una media di sei punti percentuali – con alcuni che registrano un distacco da Clinton di 12 punti.
Pessima l’immagine di Trump anche nel mondo. I risultati di un sondaggio del Pew Research Centre sono illustrati in breve dall’immagine qui sotto. Si tratta di una indagine globale e segnala come solo il 9% degli interrogati abbia fiducia in Trump, contro il 77% in Obama e il 59% per Clinton. Non è un sondaggio che conta, ma è un pessimo segnale per gli Usa. Il miliardario piace più a cinesi e italiani che a tutti gli altri.