Morti, feriti e ostaggi. È questa la situazione venutasi a creare in un ristorante di Dhaka, la capitale del Bangladesh, dove un commando di nove persone armate ha preso in mano un ristorante nel quartiere di Gulshan, dove sono le ambasciate e vivono molti stranieri. Lo stesso ristorante è frequentato da cosiddetti expats, il personale di ambasciate, Ong e altre organizzazioni internazionali attive nel Paese.
Mentre scriviamo sappiamo che ci sono due morti tra i poliziotti, che il gruppo armato è entrato gridando Allah Akbar, ha preso prima le cucine e poi la sala, lanciando bottiglie molotov. Sappiamo anche che l’Isis ha rivendicato tramite Amaq, la sua agenzia di stampa, e che ci sono almeno 20 ostaggi – la rivendicazione parla anche di 20 morti, ma non se ne sa nulla. Ci sono italiani tra gli ostaggi, il ristorante è nei pressi dell’ambasciata. Due sono riusciti a fuggire.
Da dove viene questa violenza e quanto Isis c’è in Bangladesh?Nelle scorse settimane più di 8.500 persone sono state arrestate dopo che nel Paese si sono verificati una serie di attentati e attacchi contro attivisti laici e rappresentanti delle minoranze religiose. Tra il febbraio del 2013 3 l’aprile scorso ci sono stati almeno 20 assalti e uccisioni, anche di stranieri o personale locale che lavorava per agenzia di sviluppo. Le vittime, quando non straniere, sono spesso blogger che parlano di temi considerati irrispettosi, o militanti per i diritti civili degli omosessuali.
Il database sugli attacchi terroristici dell’università del Maryland conta più di 100 attacchi – molti senza vittime – solo nel 2015. Il 28 settembre 2015 veniva ucciso anche l’italiano Cesare Tavella.
Nel mese di aprile, il direttore di unica rivista gay del Bangladesh, un professore universitario e uno studente di legge Dhaka che avevano espresso opinioni laiche in un blog sono stati ammazzati.
Molti degli attentati, non tutti, sono stati rivendicati dall’Isis, ma il governo ha ogni volta smentito, anche quando un commando ha ucciso la moglie di un importante poliziotto dell’anti-terrorismo. Resta da capire se l’attitudine del governo è dettata dalla paura e voglia di negare la presenza del Califfato anche in Bangladesh o se si tratta di un’affermazione basata su dati reali. Certo è che dal Bangladesh – e molto di più dalla comunità britannico-bangladesha – sono partiti diversi miliziani per andare a combattere in Siria. Quelli potrebbero essere un eventuale legame.
In Bangladesh sono attive diverse formazioni di islamismo radicale armato, tra cui Jamatul Mujahideen Bangladesh, legata a doppio filo a Jamaat-e-Islami, che è un partito politico, in passato determinante per la costruzione di maggioranze parlamentari. L’emiro di Harkat-ul-Jihad Islami è stato uno dei cinque firmatari della fatwa di Osama Bin Laden del 1998 contro l’Occidente. Spesso il Paese è anche stato la piattaforma per gli attacchi in India di gruppi pakistani come Lashkar-e-Taiba, forse l’organizzazione più grande di questo tipo in Pakistan, dove oggi è fuorilegge ma per anni è stata al centro dello scontro politico.
A maggio era stato condannato a morte e ucciso Moitur Rahman Nizami, ex ministro di Jamat-e-Islami, ritenuto responsabile di atrocità commesse contro le minoranze negli anni 70. La sua morte ha generato proteste e un crescente clima di tensione. È dal 2013 che il governo arresta dirigenti e militanti del partito, quell’anno una rivolta generata dagli arresti ha provocato 50o morti. Da allora altre decine di persone sono state arrestate e molti dirigenti si sono dati alla macchia. Un ulteriore elemento di instabilità per un Paese poverissimo, abitato da 130 milioni di persone.