Cinque misure interdittive con obbligo di firma, 24 ordinanze di custodia cautelare – dodici in carcere e dodici ai domiciliari – e il sequestro di 1,2 milioni di euro tra immobili, quote societarie, e conti correnti, oltre a decine di perquisizioni sul territorio nazionale.
Sono 50 in tutto gli indagati. Le Fiamme gialle hanno scoperchiato un’organizzazione criminale costituita da politici, imprenditori e funzionari pubblici che si spartivano tangenti per vedersi assegnati gli appalti dei ministeri. Tra i reati contestati nell’ambito dell’operazione «Labirinto» disposta dalla Procura di Roma, c’è l’associazione a delinquere finalizzata alla fronde fiscale, corruzione, riciclaggio, appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato.
L’associazione, spiegano gli inquitenti, ruotava intorno al faccendiere Raffaele Pizza, fratello dell’ex sottosegretario all’Istruzione del governo Berlusconi Giuseppe Pizza, attualmente segretario della Nuova democrazia cristiana e anch’egli iscritto nel registro degli indagati. Tra le personalità coinvolte vi sono anche due alti funzionari dell’Agenzia delle entrate, finiti in manette, e Antonio Marotta, avvocato e parlamentare dell’Ncd, che commenta la sua iscrizione nel registro degli indagati per traffico di influenza illecita definendosi «oggetto di un equivoco».
Marotta è un ex componente del Consiglio superiore della magistratura e siede a Montecitorio dal 2008, prima tra le fila dell’Udc, poi di Forza Italia e dal 2013 nel partito del ministro dell’Interno Angelino Alfano. Il deputato – per il quale i pm hanno chiesto la custodia cautelare, richiesta respinta poi dal gip – sarebbe il braccio destro del faccendiere Pizza, e avrebbe «coadiuvato» quest’ultimo nello sviluppo di un sistema affaristico criminale portando avanti l’attività di illecita intermediazione. Giuseppe Pizza, secondo i finanzieri, usava uno studio legale vicino al Parlamento per ricevere denaro di illecita provenienza e smistarlo – anche con la collaborazione del parlamentare – attraverso alcune società di comodo a lui riconducibili, che movimentavano grandi somme di denaro tra conti personali e aziendali.
Il faccendiere avrebbe adoperato i propri legami personali con personaggi ai vertici della politica e dell’imprenditoria «per aggiudicarsi gare pubbliche, sopratutto favorendo la nomina ai vertici di enti pubblici di persone a lui vicine per ricevere favori di ritorno e facilitazioni». A risalire al nome di Pizza è stato il Nucleo valutario della Guardia di Finanza, che, dopo aver indagato sull’emissione di un gran numero di fatture per operazioni poi risultate di fatto inesistenti, è riuscita a ricostruire la struttura dell’associazione criminale imperniata intorno al faccendiere.
Le indagini sono partite nel 2013, dopo le segnalazioni nei confronti di un consulente tributario romano e alcune società a lui riconducibile. Il sistema ricostruito dalle Fiamme gialle ha portato alla luce l’evasione fiscale di grandi somme di denaro – oltre dieci milioni di euro – per costituire fondi neri che sarebbero stati riciclati attraverso la galassia di società che facevano capo attraverso prestanome, a Pizza. Fondamentale sarebbe stato il sostegno assicurato al faccendiere dai due funzionari dell’Agenzia delle Entrate finiti in manette per corruzione aggravata. Al centro dell’indagine anche l’appalto del call center unico Inps-Inail: nella distribuzione di lavori e subappalti il gruppo avrebbe organizzato false fatturazioni per generare fondi neri da riutilizzare in attività di riciclaggio e finanziamento illecito ai partiti.