La Corte Costituzionale deciderà il 4 ottobre. Intervista con l'avvocato Felice Besostri che aveva affossato insieme a due colleghi il Porcellum e ora è tra i promotori della campagna anti Italicum

La partita per un referendum abrogativo sulla nuova legge elettorale, l’Italicum, si è conclusa. I comitati promotori per il referendum domani non consegneranno nulla alla Corte di Cassazione, visto che le firme raccolte sono in tutto 420 mila, ben al di sotto della soglia delle 500 mila necessarie per promuovere la consultazione, che si sarebbe dovuta tenere nel 2017.
Tuttavia, non è ancora detta l’ultima parola. A sostenerlo è Felice Besostri, avvocato, socialista, già senatore capogruppo DS nella Commissione Affari Costituzionali nella XIII legislatura e membro del Comitato per la democrazia costituzionale, formatosi nel 2015, a cui avevano aderito giuristi come Gustavo Zagrebelsky, Luigi Ferrajoli, Massimo Villone e anche esponenti politici della sinistra Pd, di Sinistra italiana con l’adesione del M5s. Besostri è stato uno dei promotori, con gli avvocati Aldo Bozzi e Claudio Tani, del ricorso contro la precedente legge elettorale, il cosiddetto Porcellum. L’avvocato ha discusso in Cassazione e corte Costituzionale l’azione giudiziaria che ha ottenuto l’annullamento del Porcellum, giudicato incostituzionale per due dei suoi punti, il premio di maggioranza e la mancanza delle preferenze.
Secondo Besostri, anche l’Italicum, come il Porcellum, presenta degli evidenti profili di incostituzionalità. Oltre ad essere stato uno dei promotori della raccolta firme contro la legge elettorale fortemente voluta dal governo di Matteo Renzi, l’avvocato insieme ad altri ha promosso 18 ricorsi in altrettanti Tribunali civili italiani per ottenere un’ordinanza di rimessione alla Consulta su 13 motivi di ricorso. I Tribunali che sono stati interpellati sono: Torino, Venezia, Genova, Milano, Brescia, Bologna, Firenze, Ancona, Perugia, Roma, L’Aquila, Bari, Lecce, Napoli, Potenza, Catanzaro, Messina. «I primi ricorsi che abbiamo fatto contro l’Italicum sono stati tra dicembre del 2015 e gennaio del 2016» dice Besostri, che continua, «l’Italicum è anticostituzionale come il Porcellum. Per questo il Coordinamento per la democrazia costituzionale ha deciso di partire con i ricorsi di costituzionalità verso 18 tribunali civili. I ricorsi sono una carta in più da giocare rispetto al referendum. Solo che serve un giudice che presenti a sua volta il ricorso alla Corte Costituzionale: a differenza della Germania, in Italia, non è possibile il ricorso diretto dei cittadini alla Consulta. Fortunatamente uno dei nostri è stato accolto dal Tribunale di Messina lo scorso 17 febbraio: un giudice lo rimetterà alla Corte Costituzionale». Il Tribunale di Messina ha infatti rinviato l’Italicum alla Consulta facendo propri sei dei tredici motivi di incostituzionalità proposti dai ricorrenti. Anche il Tribunale di Torino si è espresso il 5 luglio scorso accogliendo il ricorso di 18 cittadini e inviandolo alla Consulta. Tra le firme vi sono Diego Novelli, Livio Pepino, Marco Revelli e Luigi Ciotti. Il Tribunale ha contestato nel particolare due dei 13 punti sollevati, dichiarati dai giudici torinesi «non manifestatamente infondati», quello dei capilista bloccati e quello relativo al premio di maggioranza che scatterebbe dopo il ballottaggio.
Il parere della Corte costituzionale è previsto per il prossimo quattro ottobre.

Ma quali sono questi profili di incostituzionalità? Secondo Besostri sono infiniti, ma, nello specifico, ne elenca quattro.
Il primo riguarda il procedimento che è stato usato per far approvare la legge elettorale: «Secondo l’art. 72 della nostra costituzione le leggi elettorali devono essere approvate con un procedimento normale. Invece in questo caso si è ricorso alla fiducia per approvare alcuni articoli della legge elettorale. Di fatto quindi per approvarla si è ricorso ad un escamotage che non è previsto dalla costituzione».
In secondo luogo c’è la questione relativa al rapporto tra premio di maggioranza e divieto di mandato imperativo: «I premi di maggioranza sono in contrasto con l’art. 67 della Costituzione, che di fatto vieta il mandato imperativo – il principio secondo il quale coloro che sono eletti sono responsabili di fronte ai cittadini tutti, e non solo di fronte a coloro che gli hanno eletti o al loro partito di appartenenza -. Con il premio di maggioranza il parlamentare è vincolato. Non puoi prendere il premio e eleggere i parlamentari se poi questo premio di fatto limita le loro libertà e li vincola alle coalizioni e ai partiti».
C’è poi la questione del premio di maggioranza. «Non c’è una soglia minima al primo turno per partecipare al ballottaggio» dice l’esperto, «basta ottenere il 40% al secondo turno. Così facendo si ottiene il premio di maggioranza, che ricopre circa il 54% del Parlamento. Così facendo una lista che ottiene il 22% può passare direttamente al 54%. È una palese violazione dell’articolo 48 della Costituzione, che prevede un voto libero ed eguale. Inoltre la legge reintroduce il premio di maggioranza simile a quello del Porcellum, dichiarato incostituzionale dalla Consulta con una sentenza del 2014 per la mancanza di una “soglia minima di voti”.».
Infine c’è la questione delle minoranze e degli italiani all’estero. «Il Trentino Alto Adige elegge i propri rappresentanti, non glieli tocca nessuno. Non partecipano però al ballottaggio gli italiani della circoscrizione estero, a differenza degli altoatesini, che partecipano anche al secondo turno. Dov’è finita l’eguaglianza del voto?»
Ci sono poi altre questioni molto controverse, accolte dal Tribunale di Messina. Come quella dei capilista bloccati: secondo i calcoli si otterrà un parlamento composto prevalentemente da nominati, con una percentuale che oscilla dal 55% al 70% e i rappresentanti scelti con le preferenze saranno la minoranza. Una palese violazione dell’art.51 della costituzione, secondo il quale «tutti hanno il diritto a candidarsi in condizioni di eguaglianza».
Approvata il 6 maggio 2015, la legge elettorale voluta dal governo renziano prevede un sistema proporzionale a doppio turno con un premio di maggioranza, soglia di sbarramento al 3% e 100 collegi plurinominali con capilista bloccati. Ecco l’Italicum, che Besostri preferisce chiamare con la k, Italikum.